Il Consiglio di amministrazione di Telecom Italia di giovedì scorso (6 dicembre) ha confermato l’interesse della società nel valutare il progetto di scorporo e di proseguire nell’interlocuzione con la Cassa Depositi e Prestiti sul progetto di creare una nuova società che avrà la proprietà della rete di accesso in rame e in fibra ottica.
Da più parti si è invocato l’intervento di Agcom per dare orientamenti ed indicare eventuali vantaggi di natura regolamentare.
Il tema è di indiscutibile rilevanza per il sistema delle comunicazioni elettroniche. Tuttavia in questa fase l’Agcom non può e non deve intervenire.
Il “non può intervenire” è riferito alla base giuridica. Secondo il Codice delle Comunicazioni Elettroniche (articolo 50 ter) quando vi è il progetto di “separazione volontaria da parte di un’impresa verticalmente integrata”, questa deve informare “anticipatamente e tempestivamente l’Autorità al fine di consentire alla stessa di valutare l’effetto dell’auspicata transazione”.
Quindi Agcom può agire solo a seguito di una comunicazione formale da parte di Telecom Italia, e non di una semplice lettura di comunicati stampa essenziali e di indiscrezioni.
Tanto più, che come ha dichiarato il Presidente di Telecom Franco Bernabè nella sua intervista al Messaggero di lunedì scorso, ad oggi, tale progetto “è ancora da costruire”.
Sempre l’articolo 50 ter del Codice recita: “L’Autorità valuta l’effetto della transazione prevista sugli obblighi normativi esistenti in base al Codice. A tal fine, conduce un’analisi coordinata dei vari mercati relativi alla rete d’accesso. […]”
In secondo luogo, l’Agcom si può esprimere soltanto dopo aver valutato l’impatto di tale operazione con un’analisi di mercato, ovvero con una valutazione delle conseguenze sulla concorrenza nei mercati interessati.
Le conseguenze sulla concorrenza si devono valutare in funzione di se e come cambierà l’offerta del servizio wholesale di accesso alla rete.
Il “non deve intervenire” è invece riferito al ruolo dell’Agcom quale Autorità di Garanzia. Siamo in un’economia di mercato e la decisione di scorporare la rete rientra nella libertà economica di Telecom Italia. Ogni ingerenza preventiva da parte nostra ci riporterebbe alla preistoria del capitalismo.
L’Agcom rimane quindi in attesa. Al momento giusto, guarderemo alla sostanza delle cose, ovvero se l’offerta del servizio wholesale evolverà dall’attuale Equivalence of outputs all’Equivalence of inputs.
Garantendo lo stesso servizio wholesale a tutti gli operatori retail, Telecom Italia inclusa, ci avvicineremmo al modello britannico e andremmo nella direzione indicata dalla Commissaria Europea Kroes nel suo recente progetto di raccomandazione. Inoltre, l’Equivalence of inputs sarebbe più funzionale a realizzare un level playing field se consideriamo che in buona parte del nostro Paese la rete di accesso rimarrà un monopolio naturale.
A dimostrazione che l’operazione societaria in se non è la chiave di volta per la nostra attività, nel Regno Unito è stato realizzato l’Equivalence of inputs con una semplice, ma efficace, separazione funzionale.
Separazione funzionale considerata come modello favorevole alla concorrenza e in grado di garantire il level playing field tra operatori da parte della direttiva 2009/140/CE, tanto da poter essere addirittura imposta come misura correttiva tipica, in casi eccezionali, qualora l’analisi di mercato mostri la persistenza di situazioni di discriminazione, pur in presenza dei remedies previsti dalle direttive europee recepite dal codice delle comunicazioni elettroniche.
Con la garanzia di Equivalence of inputs, infine, secondo le linee direttrici della Commissione europea, si potrebbero ridurre alcuni obblighi regolamentari, come l’orientamento al costo sui servizi wholesale in fibra e i vincoli di prezzo sui servizi retail. Nel contempo si ridefinirebbe l’attività dell’Organo di Vigilanza sulla parità di accesso alla rete di Telecom Italia, appena rinnovato da Agcom e da Telecom Italia.
Questa preferenza verso l’equivalence of inputs non significa che il modello adottato fino ad oggi (equivalence of outputs) sia stato inefficace. La collaborazione tra sue soggetti in ontologica contrapposizione quali l’incumbent e Autorità di regolamentazione ci ha permesso di essere all’avanguardia in questo ambito.
Certamente dobbiamo guardare avanti, ma possiamo essere fieri di avere adottato, già dal 2008 e tra i pochi Paesi dell’UE, un modello di equivalence che offre garanzie aggiuntive di non discriminazione rispetto alla regolamentazione basata prevalentemente sull’orientamento al costo.
Restiamo quindi in attesa delle decisioni e delle comunicazioni di Telecom Italia. Agcom è pronta a fare la sua parte con la cassetta degli attrezzi fornita dalla legislazione in vigore e da esperienze come quella britannica.
Su chi invita a considerare un modello regolatorio di tipo Rab (acronimo di Regulatory Asset Base) per stabilire i prezzi dei servizi wholesale della rete Nga, rispondo che si tratta di una proposta al di fuori dei principi regolamentari prospettati dall’ Unione Europea.
Su quest’ultimo punto è utile ricordare che le direttive dell’Unione Europea mirano ad armonizzare, secondo l’art. 19 della direttiva “quadro”, l’applicazione di alcuni obblighi regolamentari, come la non discriminazione e le metodologie di costing della rete di accesso.
In questo contesto l’obiettivo della Commissaria Kroes è proprio quello di far adottare alle singole Autorità nazionali di regolamentazione modelli ispirati a valutare i costi della rete di un operatore efficiente che opera in un contesto competitivo come quello che caratterizza il mercato delle reti di comunicazione elettronica (vedi il caso del modello di costing denominato Bottom-Up Long Run Incremental Cost noto con l’acronimo Bu-Lric).