Le reti sono la piattaforma del mercato unito europeo. Le comunicazioni elettroniche hanno contribuito innanzitutto alla libera circolazione dei servizi, settore che pesa per il 70% nell’economia europea, ma anche dei beni (per es. gestione delle transazioni commerciali), dei capitali (per es. trasferimento di fondi) e delle persone (per es. formazione, ricerca di lavoro, gestione di pratiche di trasferimento). Le comunicazioni elettroniche non stanno avendo un impatto esclusivamente di natura economica, ma stanno creando una network society che, riprendendo il titolo del best-seller di Thomas L. Friedman, ha quasi “appiattito” l’Europa.
I benefici del virtuale necessitano di infrastrutture e, tra queste, la rete fissa svolge un ruolo fondamentale per la potenza con la quale trasporta le informazioni collegando tanto i terminali nei nostri uffici quanto le antenne del mondo wireless.
Il nostro continente è già attraversato da molteplici backbones che si sovrappongono e si intrecciano estendendosi oltreoceano per collegarci al resto del mondo.
La parte più delicata della rete fissa, diversamente da altre reti europee – in primis quella elettrica e quella ferroviaria – non è l’infrastruttura dell’interconnessione transfrontaliera. Per offrire ai cittadini e alle imprese le opportunità delle ICT è necessario un accesso di qualità alla rete: almeno 30 Mb al secondo entro il 2020 negli obiettivi dell’UE.
In virtù del quadro normativo attuale, che applica il principio di sussidiarietà, la copertura universale è un problema locale. Pertanto la responsabilità è nazionale seppur con la supervisione della Commissione e del BEREC. Che il problema sia locale è dimostrato da come i vincoli di bilancio, più rigidi in questa fase di crisi, abbiano ridimensionato gli investimenti in capillarità della fibra ottica facendo prevalere il modello FTTC rispetto a quello FTTH, non soltanto nel nostro Paese. Ciononostante, quando si spengono i riflettori puntati sui principali centri urbani e appare con nitidezza la diffusione della popolazione italiana in un territorio tanto affascinante quanto difficile, lo scontro tra operatori si placa e la rete di accesso rimane, nella maggior parte del Paese, una essential facility in monopolio naturale.
Nei settori in cui è permessa la regolamentazione ex-ante, come quello delle comunicazioni elettroniche, il monopolio non è sinonimo di riduzione del benessere del cittadino. Per questo motivo forme di condivisione di asset e di attività tali da garantire ad operatori di rete un significativo potere di mercato possono non avere sostanziali effetti anti-concorrenziali; ciò è coerente con le recenti dichiarazioni a favore del “network sharing” dei Commissari Almunia e Kroes. Alla valutazione condotta a livello antitrust, che bilancia il grado di concentrazione (la fusione societaria solo quando un semplice accordo non è efficace) con l’efficienza (evitando duplicazioni di investimenti e di attività), si somma la regolamentazione dell’AGCom che ha affinato, negli anni, gli strumenti per garantire la parità di accesso a tutti gli operatori.
I segnali provenienti dal settore sono in linea con il quadro appena descritto. L’accordo tra Telecom Italia e Fastweb dello scorso settembre è da ritenersi un esempio virtuoso di collaborazione. Ma indubbiamente la novità potrebbe essere lo scorporo della rete di accesso di Telecom Italia e la creazione di un‘unica società che metta a fattor comune le reti di accesso in fibra degli altri operatori. Cresce inoltre il dibattito anche sulla condivisione delle infrastrutture di rete, quali le antenne, per il mobile 4G.
Operazioni di concentrazione potrebbero parzialmente ridurre il grado di frammentazione nel settore giudicato eccessivo se si utilizza il benchmark di Paesi quali gli Stati Uniti e se si considerano i costi per le multinazionali stimati in un recente studio di Wik Consult. Tuttavia la rete fissa sconta una legacy che nel segmento di accesso esalta la diversità di 27 Paesi che richiede il lavoro parallelo di 27 Autorità.
Bene ha fatto il direttore Campesato a parlare di Utopia con riferimento alla complessità del progetto di creare una network unica europea. In assenza di maggiori informazioni, è difficile oggi valutare sia i vantaggi industriali e finanziari diversi da quelli derivanti dalla semplice matematica della dimensione (per es. un maggiore potere negoziale nei confronti dei fornitori di apparati) sia gli svantaggi per l’attività di regolamentazione che utilizza le informazioni provenienti dal benchmarking degli operatori dei diversi Paesi europei.
Tuttavia credo che la complessità del progetto non trovi origine in ostacoli frapposti dalle norme antitrust in quanto gli operatori coinvolti sono operativi in mercati rilevanti distinti dal punto di vista geografico. inoltre le autorità di regolamentazione guarderebbero agli effetti sostanziali sulle condizioni di accesso ai servizi nei mercati interessati e non alla compagine proprietaria dell’operatore.