Prosperetti: “Troppe incognite sul progetto Ngn”

Chi ci mette i soldi? Che fine fanno le infrastrutture esistenti? Qual è il modello regolatorio? Scettico sulla fattibilità della società della fibra il docente di Politica economica dell’Università di Milano

Pubblicato il 14 Mag 2010

"Ma le risorse chi le mette?" È la domanda che pone
Luigi Prosperetti, docente di Politica economica alla facoltà di
Giurisprudenza della Università di Milano e grande esperto di Tlc,
prima ancora di esprimere qualunque giudizio sul progetto di una
nuova rete in fibra ottica appena presentato da Vodafone, Fastweb e
Wind. Quesito da cui traspare un atteggiamento piuttosto scettico
sulla fattibilità di un’infrastruttura così costosa e
soprattutto sul suo eventuale ritorno economico in tempi
ragionevoli. “Intendiamoci – prosegue l’economista – si tratta
di un progetto interessante. Però le incognite mi sembrano ancora
molte”.

Per quel che riguarda i soldi si punta anzitutto sulla
Cassa depositi e prestiti, il soggetto più dotato di liquidità in
Italia.

Mah, a dire la verità questi soldi della Cassa depositi e prestiti
sembrano un po’ come i carri armati di Mussolini prima della
seconda guerra mondiale: le stesse risorse vengono tirate in ballo
per le destinazioni più diverse. Mi pare un po’ presto per dire
che le risorse della Cassa saranno senz’altro disponibili per
investire in una rete di Tlc in fibra ottica: la Cassa non è un
ente benefico, ma un investitore razionale, e farà bene i suoi
conti. E comunque, anche al di là del problema dei soldi ci sono
altri interrogativi tutt’altro che trascurabili.

Ne elenchiamo qualcuno?
Il primo nodo riguarda le infrastrutture già esistenti (cavidotti,
reti): è possibile che siano conferite alla nuova società, o si
pensa ad un qualche obbligo? Se così fosse, il progetto si
ridurrebbe ad un nuovo tentativo di scorporare la rete da Telecom
Italia, sua solo per le 15 città più redditizie. A quanto par di
capire, una delle condizioni basilari è infatti che anche Telecom
Italia sia della partita…In effetti non sembra molto propensa.
Secondo me Bernabè teme, giustamente, che alla fine la nuova rete
vogliano farla pagare soprattutto a lui, o che comunque il progetto
tolga a Telecom l’uso di un suo asset strategico.

Non ritiene anche lei, come la maggior parte degli
osservatori, che in Italia, specie in prospettiva, ci sia bisogno
di una rete a banda ultralarga?

Ma un conto è dire che sarebbe utile, cosa di cui sono certo, in
particolare per il mondo delle aziende, altro è scommettere sul
fatto che possa ripagarsi in tempi ragionevoli. Di fronte ai rapidi
cambiamenti della domanda, e alla crescita delle capacità della
rete mobile per la trasmissione dati, come si fa a prevedere il
valore economico futuro della rete fissa? Questo è un mondo che
cambia a una velocità straordinaria. Chi poteva immaginare il
successo di Twitter o Youtube 4 o 5 anni fa?

Poiché per realizzare una rete del genere ci vuole qualche
anno, non è meglio muoversi per tempo?

È un ragionamento che fila in teoria. Ma in pratica bisognerebbe
individuare applicazioni da far passare sulla nuova rete che
possano effettivamente essere richieste in modo abbastanza
massiccio. Da questo punto di vista fra le analisi che ho letto
finora non ce n’è una convincente. E come se non bastasse c’è
un grosso problema di regole, forse l’handicap più pesante per
un investimento del genere.

In che senso?
Nel senso che in base alle regole in vigore oggi chi costruisca una
rete di nuova generazione potrebbe essere costretto a metterla a
disposizione anche di tutti gli altri operatori. Dubito che ci sia
qualcuno disposto a rischiare tanto denaro per poi trovarsi senza
neppure un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.

Dunque lei dice che la prima cosa da fare è stabilire che
chi fa la rete può usarla senza obblighi particolari verso gli
altri?

Mi sembra la cosa più ragionevole se si vuole invogliarne la
realizzazione da parte di chicchessia.

Insomma siamo destinati a fare a meno della banda
ultralarga ancora per un bel pezzo?

Non in tutta Italia nella stessa misura. Dove la domanda offre già
ora buone prospettive di ritorno, come a Milano e a Roma e in breve
parte delle 15 città del progetto di Fastweb, Vodafone e Wind, è
probabile la rete si farà prima che altrove. Le altre zone
seguiranno con i loro tempi. Continua a sembrarmi la strada più
logica per la nuova rete in fibra ottica.

FULL STORY NEL NUMERO 10
DEL CORRIERE DELLE COMUNICAZIONI IN USCITA LUNEDì 17
MAGGIO

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