Niente più pubblicità sui siti che “violano palesemente il diritto d’autore”, diffondendo al pubblico contenuti audiovisivi in modo pirata.È questo l’oggetto del “memorandum of understanding”, via di mezzo tra l’embrione di un codice di autoregolamentazione e una lettera di intenti, siglato dall’Internet advertising bureau Italia (Iab), la Fapav (Federazione contro la pirateria audiovisiva) e la Fpm, Federazione contro la pirateria musicale.
L’intesa prevede che i titolari dei diritti d’autore, attraverso le associazioni che li rappresentano, segnalino allo Iab quei siti che fanno della pirateria audiovisiva la propria attività di impresa – in maniera esclusiva o, almeno, prevalente – e che Iab agisca da “hub” delle imprese che intermediano l’advertising online, chiedendo loro di chiudere i rubinetti degli investimenti pubblicitari verso questi siti.
Un meccanismo virtuoso, anche se, ancora, quelli dell’Internet advertising bureau della Fapav e della Fpm sono solo impegni solenni, buoni propositi e, forse, ambizioni che, nei prossimi mesi, dovranno prima essere trasformati in regole e processi sostenibili ed efficaci e poi essere messi alla prova dei fatti.
Non si può, tuttavia, negare che una parte importante dell’industria della pubblicità online ed il mondo dei titolari dei diritti abbiano imboccato la strada giusta per dichiarare guerra ai veri “parassiti del web” senza, per una volta, brandire manette o chiedere a Governo, parlamento ed Authority di adottare nuove norme repressive verso gli utenti o, peggio ancora, destinate a trasformare gli internet service provider in “sceriffi del web”. Troppo presto per dire se l’accordo funzionerà e se varrà almeno a ridurne l’entità della pirateria online ma è fuor di dubbio che se Iab ed i suoi associati, Google in testa, riusciranno a rispettare gli impegni appena assunti, nessuno potrà più accusarli di “connivenza” con le grandi piattaforme pirata.
Guai, naturalmente, a farsi illusione sulla fine della pirateria online. Per sconfiggerla serve ciò che ancora, specie in Italia, manca drammaticamente: un’offerta legale – film e contenuti audiovisivi – degna di questo nome e che consenta all’utente di accedere ad un contenuto ovunque, in qualunque momento ed attraverso qualsiasi dispositivo senza dover passare per anacronistiche finestre temporali e limitazioni di piattaforma e, poi, soprattutto, una seria azione di promozione della cultura e dell’educazione al digitale.