L'EDITORIALE

Quanto vale la rete Tim? Non è più questa la domanda

Il “prezzo” dell’infrastruttura sarà determinato dalla “visione”, ossia da quale futuro si vorrà e si potrà garantire all’azienda. E’ sulla strategia di lungo periodo che bisogna interrogarsi se si vuole venirne a capo una volta per tutte. E tentare il rilancio a cui guarda il neo Ad Gubitosi

Pubblicato il 19 Nov 2018

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Quanto vale la rete Tim? È questa la domanda su cui si torna puntualmente, come un gioco dell’oca, tutte le volte che il tema dello scorporo si fa caldo. Svariate le cifre circolate nel corso degli anni con una forchetta talmente ampia – fra i 10 e addirittura 20 miliardi di euro – da generare valutazioni e teorizzazioni al contempo verosimili e discutibili. Il punto però non sta tanto o solo nel valore della rete. Quel che conta e quel che determina il valore dell’infrastruttura sta nella strategia alla base della “visione”.

È evidente che se allo scorporo facesse seguito il matrimonio con Open Fiber – in questa direzione pare ci si stia dirigendo anche se non è detta l’ultima parola – e la proprietà della newco diventasse pubblica, lo scenario evolutivo sarebbe ben diverso da quello derivante da un’eventuale quotazione della società frutto della separazione di reti e servizi. Ipotesi più volte caldeggiata anche perché potrebbe escludere Cassa depositi e prestiti, anche se che negli ultimi mesi ha perso sempre più smalto a favore della newco con Open Fiber.

Lo scorporo sarà di natura “industriale” o si opterà per una soluzione finanziaria? Sarà per spingere davvero i cantieri ultrabroadband o per mettere insieme due aziende (Tim e Open Fiber) che sul lungo periodo rischierebbero di fagocitarsi?

Sono queste le domande che bisognerebbe porsi per capire non tanto e non solo quanto vale l’asset di rete ma quanto vale l’intera Tim. L’azienda è nel guado come non mai: gli azionisti – Vivendi ed Elliott – sono su due sponde diverse e persino opposte e bisognerà vedere chi la spunta davvero; un eventuale progetto con Mediaset potrebbe fare da contraltare allo scorporo della rete; un piano di ristrutturazione lacrime e sangue consentirebbe di risalire la china una volta per tutte. Insomma la partita è ancora tutta da giocare. Il neo Ad Luigi Gubitosi parla già di rilancio e indica la riduzione del debito come una priorità insieme ad una decisione rapida sul dossier rete. Ma bisognerà capire quale sarà il prezzo del rilancio. Quanti i dipendenti da “scorporare” nella newco e quanti quelli che invece saranno tagliati fuori per consentire un “alleggerimento” necessario a garantire il futuro dell’azienda? Quale il peso del pubblico nella nuova entità scorporata? E ce la farà “l’altra” Tim a stare in piedi “solo” con il 5G?

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