“Il prossimo Consiglio Ue sarà l’occasione giusta per mettere sul tavolo le tre priorità identificate da Francesco Caio – anagrafe, identità e fatturazione – per evidenziare il cambio di approccio nel processo di attuazione dell’Agenda digitale”. Stefano Quintarelli, deputato di Scelta Civica, spiega al Corriere delle Comunicazioni come l’Italia dovrebbe presentarsi al summit del 24 e 25 ottobre, il primo dedicato ai temi dell’e-economy.
Crede che presentare il “piano Caio” sarà sufficiente a rassicurare l’Europa sull’impegno del governo sull’Agenda, progetto su cui l’Italia è in pauroso ritardo?
Anagrafe unica, identità digitale e fatturazione elettronica sono le cose necessarie da fare per rilanciare sull’Agenda, perché puntano ad innovare le infrastrutture immateriale, base per la messa in opera di tutti i servizi digitali. Pensiamo solo all’anagrafe unica. Si tratta di un progetto che cambia il modo di essere della PA, andando ad eliminare quella caratteristica per cui è il cittadino a garantire l’interoperabilità e l’integrazione tra le amministrazioni, trasferendo pratiche e richieste da un ufficio all’altro. Con l’anagrafe e con l’attivazione di sistema di identità digitale, questo modo di funzionare non esisterà più e l’integrazione di reti e servizi sarà garantita di default. Quindi, per rispondere alla sua domanda, sì credo questo cambio di passo potrà rassicurare l’Europa sul fatto che, finalmente, stiamo dirottando investimenti su infrastrutture strategiche.
Il summit sarà anche l’occasione per far incontrare Neelie Kroes e i governi, per la prima volta dopo la presentazione del pacchetto sul mercato unico delle Tlc. La Francia chiede quasi una “resa dei conti” su un provvedimento considerato freno agli investimenti, ma secondo Catricalà le regole sono un passo fondamentale verso il single market. Lei che idea si è fatto a questo proposito?
Francamente non credo che, se approvato, il pacchetto Kroes sia realmente pro-concorrenza ma che vada, invece, in aiuto ai campioni nazionali, in genere le big telco con il rischio che si farebbe per Internet un altro grave errore come fu fatto per la rete fissa.
Che errore?
Nel 1992 con la “Open Network Provision” che ha liberalizzato il settore, aprendo la strada agli operatori alternativi, si optò per una concezione secondo cui lo sviluppo passava per l’investimento edilizio sulle rete ovvero posare cavi di rame. Laddove c’erano da costruire reti ex novo le regole hanno funzionato. Le tariffe di terminazione hanno garantito trasferimento di fondi dal monopolista (rete fissa) agli operatori mobili con i quali fondi hanno sviluppato le reti mobili. Certo, in quegli anni, Internet era agli albori e non si poteva pensare di puntare di più sui servizi. Ma il fatto è che poi quella scelta non è stata mai più messa in discussione e quando c’è stato il boom del Web, l’Europa si è trovata in ritardo rispetto ai campioni mondiali, Usa in prima linea. E poi ci si lamenta del supposto “predominio” degli Ott?
A proposito di Ott, sempre la Francia punta a mettere in campo politiche condivise tra gli stati per bloccare gli over the top. Per usare le parole del ministro Fleur Pellerin gli Ott “sfruttano le reti, non investono sulle infrastrutture e, per finire, adottano meccanismi fiscali che bypassano il fisco nazionale a danno dei player europei”. Crede che questa posizione possa trovare sostegno?
Francamente mi sembra una posizione pretestuosa e anche miope. Allora dovremmo chiedere anche alle banche, che sono tra i più grandi over the top, di investire nelle reti. Ricordo che se non ci fosse Internet un ex incumbent, come Telecom, perderebbe il 30% del suo fatturato. Quindi il tema non è stoppare gli over the top ma lavorare su una struttura di mercato europea realmente competitiva che non si basa più sulle reti ma sui servizi innovativi. Mi auguro che questa riflessione venga fatta in seno al prossimo Consiglio. Per quanto riguarda invece il tema fiscale, credo che superare la frammentazione normativa della Ue a 27 sarebbe un ottimo strumento per monitorare gli Ott, senza mettersi nella condizione di fare gli sceriffi.