IL FUTURO DI TELECOM ITALIA

Rangone: “Telecom ha le carte in regola per giocare la sua partita”

Il docente del Politecnico di Milano: “Il management sta facendo scelte coraggiose. Public company modello ideale per conferire all’azienda maggiore identità strategica”

Pubblicato il 09 Set 2014

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“Il futuro di Telecom Italia? Credo sia arrivata l’ora di fare una chiara distinzione fra strategia industriale e assetti azionari e mettere definitivamente da parte il passato. Che Telecom stia ancora pagando lo scotto di operazioni che si sono rivelate fallimentari lo sanno ormai tutti. Ma bisogna guardare al futuro”. Andrea Rangone, docente del Politecnico di Milano e coordinatore degli Osservatori Digital Innovation dell’ateneo lombardo non ci sta con i toni polemici che spesso accompagnano le “vicende” Telecom e che a effetto domino si abbattono sul giudizio complessivo relativo al capitalismo italiano.

Rangone, per Telecom è stato decisamente un agosto di fuoco. La “vittoria” degli spagnoli nella partita Vivendi è stata un fallimento per la società capitanata da Patuano?

Non la vedo così. Anzi, è stata un’occasione per dimostrare che Telecom è tutt’altro che seduta. Il management sta giocando la sua partita e poco importa che si perda un round. Patuano ha cercato di reagire all’offerta di Telefonica su Vivendi e ha dimostrato dunque che Telecom non sta a guardare. Ma come spesso avviene in questo Paese tutte le volte che c’è di mezzo Telecom si sbaglia sempre: se l’azienda sta ferma la si accusa di essere passiva, se si muove la si giudica di incapacità di agire. E soprattutto Telecom diventa l’emblema di un capitalismo italiano che non funziona. Ma basta con queste frasi fatte e con il continuo pietismo! L’Italia è fatta di migliaia di imprenditori grandi e piccoli che lavorano e anche bene. Alimentare il pessimismo di un intero sistema – che ha le sue criticità e nessuno le nega – non porta davvero da nessuna parte. E non porta Telecom da nessuna parte.

Dunque Patuano si è mosso bene.

Patuano ha reagito con una mossa coraggiosa. E il management ha le carte in regola per giocare la sua partita.

Quale?

Intanto meglio subito chiarire che non esiste la bacchetta magica. Bisogna fare i conti con il debito e anche con la difficoltà del mercato delle Tlc. Ma di sicuro il management di Telecom Italia sta attuando un cambiamento importante nel modo di interpretare il futuro. L’azienda ha voglia di tornare ad essere protagonista sul mercato domestico e di restare forte su quello brasiliano, a meno che non sia possibile capitalizzare incassando risorse adeguate, non al di sotto quindi dei 10 miliardi, che consentano di effettuare nuovi investimenti a livello domestico e di monetizzare gli sforzi fatti nel corso degli anni.

Secondo lei in Italia Telecom può tornare a nuovi fasti?

In Italia c’è tutta la possibilità di giocare un’ottima partita sul fronte fisso-mobile ma anche su quello dei servizi IT e del cloud. Telecom è già protagonista ma ha buone chance di crescere considerando fra l’altro che il mercato italiano è destinato al consolidamento. Sul piano degli investimenti l’azienda ha stanziato 9 miliardi per portare la banda ultralarga fissa in tre anni al 60% della popolazione e l’Lte all’80%. Si tratta decisamente di un’operazione significativa.

Cosa succederà secondo lei con lo scioglimento di Telco?

L’azienda è in una fase transitoria delicata. Ma di fatto ne uscirà rafforzata. Molti guardano a questa fase come al preludio di una perdita di identità nel controllo dell’azienda, ma la verità è che questa perdita di controllo conduce verso la public company a tutti gli effetti. Una notizia positiva perché solo una public company può consentire al management di prendere decisioni rilevanti e di dare maggiore identità strategica. Al grigiore azionario si contrappone una ragionevole determinazione manageriale e ciò ha impatto positivo sulla strategia. Il management può elaborare un piano industriale efficace proprio se Telecom diventa una public company.

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