In Italia è necessario garantire condizioni di stabilità affinché gli operatori di telecomunicazioni possano investire e competere a livello globale: questo l’appello di Giuseppe Recchi, presidente di Telecom Italia, sulle colonne del Financial Times. È alla stabilità regolatoria che fa riferimento in particolare Recchi facendo eco a quanto più volte auspicato dall’Ad Marco Patuano. “È qui che si gioca la sfida di tutta l’industria”, dice Recchi che definisce le telco, e più in generale tutti i player industriali attivi in Italia, degli “eroi” considerati gli investimenti in campo. “Per quanto ci riguarda il piano triennale prevede 9 miliardi di euro di investimenti, fra i 3-4 miliardi solo per tecnologie ad alto valore, fibra, Lte e 4G. E stiamo facendo tutto questo senza regole stabili e chiare”. Riguardo all’ipotesi di cessione di Tim Brasil, Recchi pur nel sottolineare che “tutto è possibile” e che le telco stanno agendo “in modo creativo”, puntualizza che Telecom Italia è intenzionata a mantenere un forte impegno nel Paese sudamericano. Recchi nega inoltre una volontà di intervento del governo in merito. Qualora lo facesse, sottolinea Recchi, “il giorno successivo il rating sull’Italia sarebbe ‘sub-junk’, perché significherebbe che l’esecutivo italiano agisce come un controllore stalinista”.
Intanto cresce l’attesa sulla seconda trimestrale di Telecom Italia in vista del cda di domani. Stando alle stime degli analisti i conti in Italia sarebbero in miglioramento, anche se lievemente: si prevendono ricavi a 3,79 miliardi (-8,4% anno su anno), un fatturato globale in calo del 10% a 5,39 miliardi e un margine operativo lordo a 2,166 miliardi (-5,8%), con un utile operativo netto di 1,1 miliardi.
In discesa il debito, che rispetto a marzo dovrebbe essersi ridotto a 27,3 miliardi di euro. Nel primo trimestre il gruppo telefonico aveva visto un utile in calo del 39% a 222 milioni di euro, frenato dagli oneri finanziari, in particolare l’effetto di un principio contabile, il cosiddetto mark to market che impone di calcolare il costo “teorico” del convertendo da 1,3 miliardi lanciato a novembre. Nel periodo da gennaio a marzo i ricavi erano stati pari a 5.188 milioni di euro (-11,9%; -6,2% in termini organici), l’Ebitda a 2.200 milioni (-5,7%).
In riferimento al cda Recchi ci tiene a sottolineare che grazie ad una maggioranza indipendente, “ora agisce per l’interesse della società, è un cambiamento radicale rispetto al passato”. Un cambiamento che fa il paio con quello generazionale, grazie al premier Matteo Renzi “che sta anche portando una trasformazione della governance”. “Il cambio generazionale si sta diffondendo in tutto nel mondo degli affari, in politica perché c’è un modo diverso di vedere le cose. Le persone sono più connesse, più internazionali e vogliono competere”.
L’appuntamento di domani sarà occasione anche per discutere sul caso Argentina, considerata la difficile situazione nel Paese. Il closing della cessione era atteso per il 12 agosto dopo l’accordo di novembre che prevedeva la vendita a Fintech della partecipazione italiana per 960 milioni di dollari, ma il precipitare della situazione di Buenos Aires rischia di rimettere in gioco la tempistica e, qualcuno sostiene, anche la stessa operazione. Secondo indiscrezioni il fondo del magnate messicano David Guzman avrebbe chiesto di rinegoziare gli accordi, in particolare la parte economica.
Riguardo al Brasile la fusione con Gvt che i vertici di Tim Participacoes hanno bollato come “rumors”, in realtà sarebbe una grossa probabilità. Secondo Repubblica il gruppo di Cesar Alierta sarebbe pronto a riprovarci dopo l’opa lanciata nel 2009 ma battuta da un’offerta più alta da parte del gruppo Vivendi e avrebbe già reclutato alcune banche d’affari fra cui Goldman Sachs, Citi, JpMorgan, Santander, Itau e Bradesco.
Intanto negli aggiornamenti della Consob si legge che People’s Bank of China detiene, dallo scorso 29 luglio, il 2,081% del capitale sociale di Telecom Italia.