“Il tema della rete unica non può mettere in discussione il futuro di Tim e quello dei lavoratori, anche perché senza gli asset di Tim una rete a banda ultralarga nazionale non si può fare. Ma detto questo è necessario che si trovi una quadra puntando sul co-investimento, ossia sulla partecipazione degli operatori di Tlc interessati nella costituzione di una società terza a servizio di tutti e soprattutto delle esigenze di connettività del Paese”: Enza Bruno Bossio, deputata del Pd accende i riflettori sulla necessità di accelerare sul progetto di rete unica e di chiudere quanto prima la partita.
Ci sono posizioni non univoche all’interno delle singole forze politiche ma non è rilevante: quel che conta è la mozione approvata a metà luglio che impegna il governo a dare vita a un tavolo con tutti gli operatori per venire a capo della questione. Mozione approvata dai partiti di maggioranza ma anche da quelli dell’opposizione al netto di Fratelli d’Italia. Quindi di fatto c’è piena condivisione.
Tim vuole mantenere la proprietà della newco e su questo è irremovibile.
Tim ha tutte le ragioni e credo peraltro che spesso si faccia sterile polemica su una questione non dirimente: che Tim mantenga la proprietà della rete è legittimo e peraltro non comporta problematiche. Il tema vero è quello della governance. Certamente Tim non può gestire la rete come un monopolista ed è qui che entra in ballo la società mista. Ci sono società a maggioranza pubblica che prevedono nei patti parasociali la governance privata. In questo caso dovrebbe accadere il contrario. Questo potrebbe essere il modello.
Non ci si poteva pensare prima a questo modello? Prima che nascesse Open Fiber?
Con il senno di poi possiamo dire che le cose non hanno funzionato come si sperava. Il governo Renzi puntò alla nascita di una società che potesse portare la banda ultralarga nelle aree bianche affinché si colmasse un gap già profondo. Fu una buona idea. Ma il progetto non è andato come doveva: i ritardi sulla roadmap sono evidenti, addirittura i lavori relativi al terzo bando Infratel non sono nemmeno partiti, e peraltro non siamo di fronte a una rete Ftth.
In che senso?
Nel senso che la rete di Open Fiber non arriva direttamente nelle abitazioni e all’interno degli immobili. Certamente abbatte le distanze dell’ultimo miglio ma gli operatori sono comunque costretti ad accendere la rete andando a realizzare la porzione rimanente, seppure minima, di infrastruttura. Con aggravio quindi di costi e con possibili ripercussioni sulle bollette dei consumatori. Inoltre Open Fiber non ha una conoscenza dei territori ed esperienza sul campo come quella di Tim e di operatori che sono da anni sul mercato, e ciò si è ripercosso sulla roadmap viste le difficoltà anche nella gestione della permessistica. Non è una situazione che l’Italia può permettersi oggi. Bisogna andare avanti e cablare il Paese il prima possibile.
Quindi la strada non è quella del wholesale only?
Il nuovo codice Ue delle Comunicazioni elettroniche parla chiaro: i modelli possibili sono il wholesale only o il co-investimento. Ha chiarito bene la faccenda l’ad di Fastweb Alberto Calcagno in un’intervista. Il co-investimento di tutti gli operatori più la presenza di Cassa depositi e prestiti nella newco rappresenta la soluzione migliore: non ci si troverebbe più di fronte a un operatore verticalmente integrato in senso stretto ma di fronte a una società terza con un’offerta wholesale only. Questo è il modello vincente: co-investimento più presenza dello Stato più offerta wholesale only. Anche perché parliamoci chiaro: il wholesale only tout court non ha avuto così successo, in Europa di certo e anche a livello mondiale le best practice si contano sulle dita di una mano.
Secondo lei si uscirà da questa impasse in tempi rapidi? Si riuscirà davvero a fare la rete unica?
Il governo sta spingendo molto su questo fronte e il fatto che abbia chiesto a Tim di congelare la decisione sull’offerta Kkr ne è la riprova. L’intervento di Conte punta a capire come ricomporre le cose di qui al 31 agosto e a rivedere le posizioni. Ma sia chiaro: Tim non può di certo svendere la propria rete e qualsiasi operazione deve stare dentro un ragionamento di mercato. E bisogna capire bene il ruolo e il peso di Cdp. Qui non siamo di fronte ad un caso Alitalia, ossia di un’azienda in fallimento. Tim dunque non può svendere i propri asset né si può mettere a rischio il futuro di migliaia di lavoratori. Posizione su cui si sono già espressi con chiarezza anche i sindacati.