Al ministro Paolo Romani è andata meglio che al ct del basket
azzurro Simone Pianigiani, che ai campionati europei ha dovuto
abbassare la testa di fronte a Germania e Francia. Nell’asta
delle frequenze Lte, è stato superato non solo il valore minimo di
2,4 miliardi di euro, ma anche l’obiettivo dei 3,1 miliardi. La
più grande Germania ha raccolto 4,4 miliardi. La Francia punta su
2,5 miliardi.
Valori lontani da quelli di dieci anni fa, quando i governi europei
incassavano 130 miliardi di euro per le licenze 3G, di cui 50 la
Germania, 13 l’Italia.
L’entusiasmo ha lasciato spazio al realismo; gli operatori sanno
che l’aumento del traffico non necessariamente si riflette nei
ricavi. I servizi dati appaiono l’unica strada che può sostenere
i fatturati e, insieme, quelli che possono mettere in ginocchio le
reti. Da qui, due previsioni: il potenziamento delle reti è un
passo obbligato, ma avverrà con prudenza, mentre occorreranno
nuovi modelli di business, come Vodafone, che nell’Lte tedesco
differenzia già volumi e velocità.
La conclusione della gara per le licenze non aprirà la strada ad
una corsa all’oro. Un po’ perché gli investimenti degli
operatori non sono più illimitati. Un po’ perché il quadro
delle frequenze non è stabilizzato. I quattro quinti dei proventi
si sono concentrati sulla banda degli 800 MHz, quella del
“digital dividend”, che le Tv locali devono lasciare per
passare al digitale terrestre, e però – possibili ricorsi a parte
– sarà disponibile solo dal 2013. Meno problemi con la banda dei
2600 MHz, dove la Difesa dovrebbe liberare le ultime frequenze, ma
anche meno interesse per questa risorsa che si presta per utilizzi
urbani ad alta densità, celle di piccole dimensioni e qualche
problema indoor, tanto che si pensa anche a soluzioni come la
“small-cell”, per aumentare la granularità della rete.
“Dal punto di vista della spesa degli operatori non prevediamo un
sostanziale cambio di marcia. Anzi, il maggior costo delle
frequenze vorrà dire forse meno soldi per gli investimenti e
ulteriori pressioni sui fornitori. Semmai, gli investimenti sin qui
condotti per potenziare la rete 3G, per esempio con l’aumento
della velocità dell’Hspa, si sposteranno progressivamente verso
il 4G”, dice Riccardo Zanchi, partner della società di
consulenza NetConsulting. “Tuttavia, l’Lte
rappresenterà una ‘rottura’ tecnologica, che potrebbe portare
anche a qualche modifica nei rapporti ormai consolidati tra clienti
e fornitori. In qualche area geografica, per esempio, è possibile
che qualche operatore voglia provare nuove soluzioni e nuovi
fornitori, che potrebbero a quel punto portare non solo la rete 4G,
ma, per comodità di gestione, anche la 3G”.
L’Lte, a differenza del 3G, è una tecnologia “mondiale”,
cosa che dovrebbe favorire una rapida diffusione. In realtà i
problemi ci sono e riguardano tra l’altro i terminali.
Soprattutto per un utilizzo in roaming. Per cominciare, alla
tecnica principale Fdd (Frequency Division Duplex) si affianca la
versione Tdd, a divisione di tempo, o Td-Lte. Inizialmente indicata
come “l’Lte cinese”, sta prendendo piede in molti mercati.
Tra i suoi vantaggi, un uso più flessibile anche di bande limitate
(come i 5 MHz) e la più stretta parentela con il Wimax,
favorendone una convergenza.
Fortunatamente le due versioni sono alquanto simili e potranno
essere supportate dallo stesso chipset dei cellulari. I quali,
però, dovranno vedersela con una ridda di frequenze, dal 700 MHz
americano all’ 800 europeo, ai 900 e 1800 MHz, fino ai 2100 e
2600. In più, sarà giocoforza la compatibilità con le reti
preesistenti: 3G e, per un bel po’, anche 2G. Per un motivo
aggiuntivo: l’Lte è uno standard “IP-oriented”, ottimizzato
per i dati, tanto che i primi utilizzi sono stati proprio di questa
natura. Per la voce, o si passa per soluzioni Voip – soprattutto la
soluzione specifica VoLte – oppure si utilizzano le reti esistenti.
Tenuto conto che, soprattutto in Europa, in genere gli operatori 4G
sono quelli che disponevano già delle reti 2/3G (in Italia quattro
su quattro), questa è la strada che tutti indicano più probabile.
Elementi che fanno prevedere una maggiore complessità e una sfida
per i cellulari e la loro autonomia.
Chi fornirà la rete? Per la Ran, cioè la parte radio,
nell’ultimo anno si sono succeduti i test anche in Italia: i più
ampi sono stati quelli condotti da Telecom Italia a Torino, con
Alcatel-Lucent, Ericsson, Huawei, e Nsn.
Rispetto al quadro di dieci anni fa, la novità maggiore è la
presenza di Huawei, che ha annunciato partnership di varia natura
con i tre operatori con cui è già attiva (Tim, Vodafone, Wind).
Ericsson punta sulla sua tradizionale forza nel settore e nei mesi
scorsi ha mostrato in Svezia anche l’Lte “Advanced”, con un
download a 1 Gigabit/s, dieci volte più veloce dell’attuale
anche se su una banda molto più larga (60 MHz). Nsn oggi riassume
quelli che prima erano due marchi (Nokia e Siemens) con presenza
disgiunta, e intanto ha annunciato un programma di upgrade con
Telecom Italia riguardante 7 mila stazioni, “potenzialmente”
aperte anche all’evoluzione verso l’Lte, sfruttando
l’architettura della “single Ran” che, in vari modi, è ormai
appannaggio dei vari fornitori. Alcatel-Lucent, che con la fusione
di Lucent aveva acquisito posizioni sul mercato italiano, punta su
“salti tecnologici”, come le micro-antenne della tecnologia
LightRadio e anche la tecnologia small / femto cell (che già
fornisce in Italia nel 3G). Dal gioco non intende restare fuori
nemmeno il “secondo cinese”, ovvero Zte. Un gioco che,
comunque, chiederà del tempo per andare a regime, insieme con la
ricerca di nuove idee affinché, alla fine, dice ancora Zanchi,
“a guadagnarci in definitiva non siano al solito gli Over the
top, ma anche quelli che ci mettono i soldi”.