Forse non ha torto chi sostiene che più di un tagliando, alla
macchina Italia, serve un motore nuovo. Personalmente sono convinto
che poche scelte ma di grande impatto economico, sociale,
occupazionale, istituzionale sono più efficaci di una miriade di
progetti di cabotaggio piccolo o grande come il Ponte sullo
Stretto. La digitalizzazione del Paese e lo sviluppo della banda
larga ha queste caratteristiche perché coniuga l’esigenza di
creare posti di lavoro nel breve periodo con la necessità di
innalzare la produttività del sistema economico e del sistema
istituzionale nel medio lungo termine.
Davanti a noi abbiamo l’esempio di Paesi come Svezia, Francia,
Giappone e Corea del Sud, che durante la crisi del 2001 hanno
stanziato per le infrastrutture digitali, dal 12 al 24% del totale
degli investimenti. La banda larga ha dei moltiplicatori economici
che non si riscontrano in altri settori e “innesca” altri
settori strategici, quali i trasporti, l’ambiente, la
distribuzione, la sanità, la pubblica amministrazione. La Banca
Mondiale ha sostenuto recentemente che un incremento del 10% della
penetrazione dei servizi a banda larga comporterebbe un aumento
della crescita economica di 1,3 punti percentuali.
Questi effetti sarebbero particolarmente accentuati in Paesi in cui
l’investimento in banda larga non ha ancora raggiunto
un’adeguata massa critica di utenti. Ed è proprio il nostro
caso, visto che in Italia meno del 50% delle abitazioni sono
connesse all’Internet veloce contro una media europea del
61%.
Anche l’Agenda Digitale dell’Europa punta sull’Ict per
contribuire alla crescita inclusiva, intelligente e sostenibile
dell’Ue nel prossimo decennio e ha esplicitamente chiesto ai
regolatori nazionali delle telecomunicazioni di garantire un
equilibrio adeguato tra la necessità di incoraggiare gli
investimenti e quella di tutelare la concorrenza.