Telco va verso lo scioglimento? A giudicare dall’esito dell’Assemblea di Telecom Italia – che per la prima volta ha visto la holding in minoranza – la risposta è si. E con tutta probabilità la “scatola” si romperà a giugno ossia durante la prima buona occasione per modificare il patto di sindacato in scadenza il 28 febbraio 2015. Le banche (Intesa Sanpaolo e Mediobanca) e Generali nel corso degli anni si sono alternate nelle “rimostranze”. L’investimento in Telecom Italia, soprattutto nei momenti più bui, è stato visto come un cattivo affare e se è vero che l’uscita di scena potrebbe non essere “remunerativa” dal punto di vista dei conti finali è anche vero che c’è anche la tesi del “limitare i danni”.
Ad ogni modo che la strada sia tracciata verso un nuovo corso è un dato di fatto, anche perché allo stato dell’arte Telco non detiene più la “maggioranza”, passata nelle mani dei piccoli azionisti e dei fondi. La “compattezza” dimostrata ieri è un chiaro segnale di svolta. E difficilmente Telco si metterà nelle condizioni di essere battuta ancora: a questo punto meglio sciogliere il patto o comunque trovare una soluzione che garantisca il “comando”. Fra le soluzioni possibili ci potrebbe essere l’entrata in scena di un nuovo socio forte, un socio “gradito” anche a fondi e piccoli azionisti. Ma per il momento non si vedono cavalieri all’orizzonte, a parte Sawiris su cui però non c’è visione “comune”. Tutto da capire il ruolo che giocherà Telefonica. Intanto l’accordo siglato a settembre 2013 ha fissato a gennaio 2014 la data a partire dalla quale Telefonica può convertire le azioni C in B fino al raggiungimento del 64,9% dei diritti di voto in Telco. Ma Telefonica non intende esercitare il proprio diritto. Riguardo invece alla scissione il patto fissa la prima finestra utile dal 15 al 30 giugno e successivamente a ridosso della scadenza, dal 1° al 15 febbraio. Ma sarà sicuramente giugno la deadline a cui fanno riferimento gli azionisti Generali (19,32%), Mediobanca (7,34%), Intesa Sanpaolo (7,34%). Telefonica dunque potrebbe trovarsi isolata e il 14,7% di quota derivante dall’eventuale scissione pro-quota non le basterebbe a tenere salda la plancia di comando ancor più in considerazione del “potere” acquisito dai “piccoli”.