L’asta per le frequenze Lte è la più grande che ci sia mai
stata nel nostro paese. Sul mercato verranno collocati 300 Mhz di
frequenze, contro i 150 Mhz scarsi dell’asta per l’Umts, e in
confronto ai 5-7 Mhz con i quali i nostri operatori mobili hanno
iniziato a realizzare il Gsm. Sulla base delle regole poste in
consultazione, non è escluso che dall’asta lo Stato possa
incassare più di 2,4 miliardi di euro messi a consuntivo nella
legge di stabilità». La pensa così Roberto Viola, segretario
generale dell’Agcom e vicepresidente dell’European Radio
Spectrum Policy Group, dopo che l’Agcom ha avviato la
consultazione pubblica della durata di 30 giorni sull’asta del
dividendo digitale.
Ce la farà il governo a incassare i 2,4 miliardi previsti
dall’asta Lte?
Nel testo della consultazione che abbiamo avviato è fissata una
base minima d’asta, compresa in una forchetta fra 2,1 e 2,9
miliardi di euro. Abbiamo quindi ipotizzato che, a certe
condizioni, il governo potrebbe incassare di più rispetto ai 2,4
miliardi di euro posti quali obiettivo dalla legge di
stabilità.
Quanto?
Dipenderà ovviamente dallo svolgimento dell’asta. Ricordo
inoltre che la legge prevede fin d’ora che della somma eccedente
i 2,4 miliardi di euro, il 10% sia destinato a investimenti sulla
larga banda. Nell’articolo 17 del testo posto a consultazione
pubblica si dice poi che i canoni degli operatori esistenti per le
reti Gsm e Umts si devono adeguare e gli operatori ottengono un
piccolo sconto se pagano tutto insieme. Ed è anche previsto uno
sconto del 3% per le reti “verdi”, cioè per i network a basso
consumo di energia. Nella nostra consultazione per gli 800 Mhz si
parte da quello che il governo ha messo nel bando 3G, aumentato
fino al 75%: parliamo di circa 14 milioni di euro ogni 5 Mhz. Sulle
dinamiche di gara inciderà la presenza o meno un nuovo entrante.
Per il momento, comunque, si tratta soltanto di ipotesi in
consultazione.
Quando si parla di nuovo entrante, stiamo parlando di
PosteMobile?
Questo non lo so: le regole messe in consultazione consentono
l’ingresso di più di un player; tutto dipende dal fatto che
l’eventuale nuovo soggetto trovi un motivo valido per entrare.
Noi le norme asimmetriche per stimolare l’ingresso del nuovo
entrante le abbiamo previste: dalla condivisione dei siti al
roaming a tutte le norme del caso.
Le frequenze messe all’asta sono sufficienti per
rispondere all’esigenza degli operatori?
E’ vero che in prospettiva 300 Mhz non bastano, non lo dico io,
lo dicono gli esperti internazionali: una società evoluta ha
bisogno di almeno un Gigahertz, per il famoso internet delle cose.
Un mondo dove i nostri bottoni, i portachiavi e tutti gli oggetti
parleranno con internet. Per ogni persona ci saranno almeno cento
sensori intorno, che comunicheranno via internet. Gli accessi via
radio alla Rete vanno moltiplicati per cento, per mille. La fame di
frequenze non si ferma qui, ai 300 Mhz dell’asta Lte e degli
accessi fino a 150 Mbps, che rispondono all’esigenza
dell’internet delle persone. Si tratta del primo passo importante
per mantenere il sistema italiano competitivo, rispondendo alla
fame di banda dell’internet delle persone. Non avere queste
frequenze per le telecomunicazioni italiane sarebbe un disastro in
prospettiva. Per realizzare l’internet delle cose avremo bisogno
di altri 700 Mhz di banda per raggiungere un Gigahertz. In teoria,
ci vorrebbero altre tre aste come quella Lte per rispondere alla
crescente domanda di frequenze. Ma in futuro saranno gli oggetti
stessi che, attraverso sistemi di radio cognitiva, saranno in grado
di “annusare” l’etere, agganciandosi di volta in volta alle
frequenze libere per trasmettere da lì. Fra poco si rischia il
paradosso: ci saranno gli oggetti intelligenti, ma non ci saranno
le reti per farli funzionare.
Un esempio?
I sensori medici per il controllo a distanza dei pazienti. Se
l’accesso non sarà always on e a bassissimo costo, non si potrà
fare. Se il monitoraggio del consumo elettrico non sarà una rete
diffusa, dove sarà il risparmio della bolletta elettrica? Il
Gigahertz non è un divertimento degli ingegneri di comunicazione o
del Presidente Calabrò, che ha lanciato l’allarme, ma
l’assoluta necessità di fare queste cose.
C’è qualche novità sullo sblocco delle frequenze delle
tivù locali?
Aspettiamo di leggere il testo del decreto legge
“milleproroghe” dove pare che ci siano delle decisioni in
materia di tivù locali. L’Autorità farà la sua parte rivedendo
le regole del regolamento sul digitale terrestre che metteremo a
consultazione. Trovare fondi ulteriori per le emittenti locali non
sarebbe sbagliatissimo.
E sul fronte delle frequenze della Difesa?
E’ importantissima la liberazione di tutte le frequenze. E’
giusto che si trovi una compensazione a favore del ministero della
Difesa, ma è altresì giusto che le frequenze che sono destinate
dall’Unione Europea ai servizi mobili siano tutte liberate. Senza
quelle frequenze si fa poco, quindi a 2,6 Mhz è importante che
come ha detto il nostro Presidente Calabrò tutte le frequenze
siano liberate. Questa è una precondizione per il successo di
questa procedura d’asta. Noi speriamo che la cosa avvenga, le
assicurazioni da parte del ministro Romani ci sono.
Come si pone l’Agcom sull’ipotesi di liberare la Banda
L, destinata alla radio digitale, per il downlink del broadband
mobile?
Per il momento si tratta di ipotesi formulate a livello europeo. Il
tema non è all’esame dell’Autorità. Il regolamento che
abbiamo fatto in Italia per la radio digitale prevede l’utilizzo
del Vhf e della Banda L come complemento. Vero è che la banda L è
poco utilizzata, ma è poco utilizzata solo perché non è ancora
partita la radio digitale, che peraltro va valorizzata. Del resto
la radio ha una tale ricchezza di operatori in Italia che sarebbe
poco immaginabile il fatto di sottrarle frequenze. Tanto più che
riteniamo che in prospettiva per la radio digitale vadano
utilizzati i canali A e B, che sono i primi canali del Vhf liberati
dalla tv oggi destinati al ministero della Difesa. Anche in questo
caso bisognerà trovare delle compensazioni, tenendo comunque ben
presente che in un mondo moderno l’utilizzo delle frequenze, che
sono un bene scarso, va remunerato da chiunque le usa. In Gran
Bretagna si ipotizza che anche gli usi civili dello spettro da
parte del ministero della Difesa si debba corrispondere un canone
allo Stato.