“Non si tratta assolutamente di una nazionalizzazione”. Dalle
colonne del Corriere della Sera il ministro per lo Sviluppo
economico, Paolo Romani, risponde alle accuse lanciate ieri dal
presidente di Telecom Italia, Franco Bernabè, di volere rimettere
lo zampino pubblico in un settore ormai privatizzato.
“Il 10 novembre – ricorda Romani – abbiamo firmato con Telecom
Italia un memorandum of understanding dove c’è scritto che la
società pubblico-privata, la Infraco, agisce secondo principi di
sussidiarietà e interviene e con un’infrastruttura passiva. Lo
stato non si mette a fare nessuna concorrenza alle aziende italiane
di Tlc ma contribuisce a favorire il mercato”.
“Mi sembra che il timore di Telecom – afferma il ministro – sia
quello di perdere una posizione predominante, tipica di un ex
incumbent”. Romani precisa inoltre che in Italia "non ci
può essere più di una infrastruttura di rete". D'altra
parte però, aggiunge, “capisco che per un grande gruppo come
Telecom che è stato il monopolista e da diversi anni è ormai
privatizzato ci sia poca voglia nel sentirsi coordinati da un
organismo pubblico”.
Il ministro coglie l’occasione anche di ricostruire il cammino
che ha portato alla nascita della società mista. “Quando sono
arrivato – ricorda – si parlava di scorporo della rete Telecom
come unica soluzione” ma per una società quotata e con problemi
di indebitamento non era pensabile. Ma già nel rapporto Caio si
parlava del rischio osteoporosi della rete. Bisognava fare
qualcosa: l’unico modo era di dare al Paese la rete tramite “la
Cassa depositi e prestiti o i conferimenti diretti. Favorendo i
lavori di scavo di cui tutti possono usufruire”.
Per Romani è importante aspettare la relazione Agcom che il
presidente Calabrò renderà nota il prossimo martedì, anche
perché le preoccupazioni degli Olo sulla possibile assenza
dell’obbligo di unbundling per le Ngn sono “giustificati”.