L'INTERVISTA

Romano: “Col 5G le telco tornano protagoniste”

La nuova cto di Tim: “Fondamentale l’intelligenza nell’edge delle nuove reti. Per noi significa poter dare servizi oggi monopolio degli Ott. In collaborazione con tutti”

Pubblicato il 22 Ott 2018

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“Una rivoluzione? Certamente: il 5G è una rivoluzione. Ma non solo tecnologica. Cambierà tutto ed offrirà alle telco opportunità di proporre nuovi servizi, impossibili con le reti tradizionali. Sarà una grande avventura, un’occasione unica per uscire dalla logica del dumb pipe in cui gli Ott sembravano averle relegate. Sono super-entusiasta del 5G”: Elisabetta Romano, in questa sua prima intervista da chief technology officer, mostra apertamente tutta la passione (e la visione) con cui si è lanciata nel nuovo incarico, prima donna in Tim a coprire un simile ruolo.

Una rivoluzione costosa, visti i prezzi delle licenze…

Ma è il futuro delle tlc. Spesso si pensa al 5G come throughput, capacità, velocità, latenza. Tutto vero. Ma il 5G non è soltanto una tecnologia radio. Determinerà una profonda trasformazione nel core network, nelle piattaforme che instradano il traffico. Per la prima volta le infrastrutture di rete diventano cloud native.

E quindi?

E quindi per la prima volta elementi di rete saranno sviluppati con le sofisticate tecniche di software sinora monopolio di società IT come Google, Netflix, Amazon o Microsoft. Le funzioni non saranno fornite da applicazioni software complessive ma da tanti “microservizi”. Se lo appunti: microservices sarà una delle parole più in voga nel prossimo futuro.

Intende dire che col 5G sarà tutto softwarizzato?

Esattamente. Persino la rete core, che sinora era costruita su hardware specializzato, sarà composta da software che girerà su hardware commerciale. Che è esattamente quello che avviene oggi nel mondo IT.

Telco chiuse, IT aperte: cadrà questo paradigma?

Un altro grande cambiamento del 5G è che i software della rete comunicheranno col mondo esterno tramite Api, rendendo così le connessioni molto più fruibili a nuovi protagonisti oltre alle telco. Si creeranno ecosistemi virtuosi.

Le conseguenze sulla gestione dei network?

Molte. In primis, potremmo introdurre molta più automazione. Le faccio un esempio. Primi al mondo, in Tim ci siamo dotati di cluster di virtual Ran. Il software centralizzato disaccoppiato ci consente di implementare da remoto in poche ora attività che prima chiedevano settimane con interventi di nostri tecnici sul posto. Tutta la rete 5G sarà softwarizzata e virtualizzata con questa logica: IT e network saranno la stessa cosa.

Con un bel risparmio di costi.

Ma anche con grandi vantaggi in termini di velocità e flessibilità. Potremo offrire nuovi servizi in maniera molto più rapida, competitiva e personalizzata. Vanno poi considerate altre due opportunità offerte dalle nuove reti 5G: il network slicing e l’edge cloud.

Fuori dai tecnicismi?

Fuori dai tecnicismi, si tratta di due tecnologie che ci consentono di uscire dalla trappola dell’hardware. E cioè da quanto è successo negli ultimi decenni per cui le telco investivano nell’infrastruttura e gli OTT monetizzavano con i loro servizi innovativi che passavano sopra la rete. Col 5G non sarà più così.

Perché?

Il network slicing ci consente di “tagliare” la rete in fette virtuali, la stessa operazione che si chiama “multitenant” nel mondo del cloud. Ciascuna “fetta” avrà caratteristiche tecniche specifiche che consentiranno applicazioni mirate, costruite sulle esigenze di determinato servizio o di quel cliente. Offrendo, ad esempio, bassa latenza oppure alta capacità a seconda delle necessità. Per le telco ciò rappresenta una marcia in più rispetto agli Ott. Mai avvenuto prima.

E l’edge cloud?

Molti servizi, come ad esempio la virtual reality o l’automotive, hanno necessità di latenze molto basse. Esse si possono ottenere soltanto portando l’intelligenza di rete e le applicazioni il più vicino possibile a chi usufruisce del servizio: sull’edge della rete, appunto. Si tratta di un cambio di paradigma fondamentale: per questo tipo di applicazioni non si può avere l’intelligenza in California e la fruizione a Roma. La capacità computazionale va portata nei punti terminali della rete. Sottraendola al centro ma, in prospettiva, anche al device che sarà sempre più chiamato a dialogare con la rete piuttosto che ad elaborare autonomamente informazioni come avviene oggi.

L’agognata rivincita sugli Ott?

Piuttosto, vedo nascere la possibilità di nuovi scenari di collaborazione. Col 5G nessuno potrà più giocare da solo: operatori, Ott, pubbliche amministrazioni, imprese innovative sono chiamati a sedersi attorno al tavolo e lavorare per fare funzionare insieme questi servizi. Non era mai successo prima: il 5G apre una nuova era.

Ma sarà una collaborazione possibile?

Le prime sperimentazioni che Tim sta facendo a Torino, Bari e Matera ci dicono di sì. Con ben 52 partner già ora stiamo lavorando vari tipi di applicazioni, ad esempio di industria 4.0 o di virtual reality dando così anche un contributo all’innovazione del sistema Paese. La rete 5G va vista anche come una piattaforma che espone in modo semplice al mondo esterno la propria intelligenza, le proprie Api. Dando così vita ad un ecosistema win-win.

Modello App Store di Apple?

È un modello che ci piace. Tant’è vero che avremo un nostro Tim Store aperto a quanti, a partire dalle startup, intendono sviluppare loro applicazioni sulla nostra rete. Apple mette a disposizione il suo sistema operativo: noi mettiamo a disposizione il nostro network OS. Possiamo fornire intelligenza, prossimità, billing, autenticazione, security, e così via. Dopo tanti anni, per le telco è arrivato il momento di monetizzare le loro capabilities: le tecnologie lo permettono. Per quanto ci riguarda, questa trasformazione l’abbiamo già iniziata con DigitTim.

Gli Ott non potrebbero rispondere avvicinando la loro intelligenza ai device?

Non mi pare gestibile da parte loro. Avrebbero bisogno di migliaia di micro-datacenter distribuiti sul territorio. E partendo da zero, visto che giganti come Google o Amazon oggi non hanno un solo datacenter in Italia. Se vogliono offrire servizi a latenza molto ridotta, il loro interesse è collaborare con noi, non dotarsi una propria rete partendo da zero. Al termine della trasformazione digitale in atto, Tim avrà sul territorio italiano 4.000 punti di presenza software, per non parlare dei siti radio. Credo che anche gli Ott comincino a capire che col 5G il paradigma sta cambiando e che la prossimità è un valore. E la prossimità ce l’abbiamo noi.

Più vicinanza all’user vuole anche dire molte più antenne. Ovvero una corsa ad ostacoli: legislazione sull’elettrosmog, burocrazie di ogni tipo, via crucis dei permessi…

Lei mette il dito su ferite aperte. il 5G porta digitalizzazione, sviluppo, occupazione, competitività, servizi innovativi. In altri termini, fa crescere il Paese. Spero che il sistema Italia e tutte le amministrazioni che lo governano possano convergere sull’esigenza di favorire il deployment di una tecnologia che ci porta verso il fut

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