Nel 2014 il digital divide – 2 Megabit a tutti – sarà un problema risolto, grazie ai nuovi bandi di gara con 353 milioni di euro di fondi pubblici. Ministero allo Sviluppo e Agcom continueranno a vigilare a lungo, però, perché gli operatori rispettino i parametri di qualità minimi previsti nelle aree coperte con l’incentivo pubblico. Parola di Roberto Sambuco, capo dipartimento comunicazioni allo Sviluppo e regista di questa battaglia finale anti digital divide.
L’Italia ha cominciato la missione di eliminare il digital divide…
Missione compiuta.
In che senso, scusi?
Possiamo dire che è un problema risolto per l’Italia. È una storia cominciata nel 2008, quando il dipartimento comunicazioni ha messo a punto il piano nazionale banda larga. La situazione era quasi drammatica, oltre il 12% della popolazione in digital divide: secondo gli standard della Commissione Ue significa non avere una copertura di almeno 2 Mb. Oltre 8 milioni di persone si trovavano in quella condizione, contro gli attuali 2,8 milioni. Non avere quella capacità minima significa subire una discriminazione sociale inaccettabile: dal punto di vista professionale ma anche affettivo. Il web contiene pezzi crescenti della nostra vita, infatti.
Si può dire che è un nuovo diritto?
Sì, è ormai un diritto di base, il prolungamento tecnologico del diritto naturale. Ogni cittadino deve poter avere accesso alla rete e al web, senza che nessuno glielo possa negare. Ma continuo con la storia di questa battaglia, visto che nessuno l’ha mai scritta bene. Nel 2008 abbiamo analizzato origini e cause del digital divide e poi abbiamo ripetuto ogni anno una consultazione pubblica con gli operatori. Abbiamo così identificato due ragioni del fenomeno: mancanza di fibra ottica nel backhauling e problemi nella parte di accesso – doppini lunghi o presenza di vecchi apparati. E ci volevano 1,47 miliardi di euro per risolvere, cifra poi scesa a 1,250 miliardi per successivi interventi privati degli operatori wired e wireless e grazie all’arrivo della minitrincea. Inevitabile coinvolgere le Regioni: abbiamo cominciato un percorso di condivisione delle iniziative ed è funzionato bene. La banda larga è forse il progetto nazionale che ha ottenuto il maggiore cofinanziamento regionale. Ci sono stati accordi con tutte le Regioni, che hanno messo 600 milioni; 400 milioni dallo Stato, 200 milioni dai privati. La Commissione Ue ha dato il via libera al piano. Non solo, l’ha considerato un modello benchmark, per la sua flessibilità e efficacia.
Questa è la storia…
Sì, ma è ancora attuale, con i nuovi bandi. Abbiamo dovuto definire due modelli di intervento, per i due problemi citati prima. Per il backhauling l’unica era ricorrere a una società pubblica, Infratel, visto che nessun operatore poteva avere interesse economico a intervenire. Sull’accesso invece abbiamo ideato un modello a incentivo.
Modello che però non c’era nei precedenti bandi… Perché?
Perché fino ad oggi abbiamo dovuto affrontare solo il problema di backhauling. Adesso, con i bandi partiti a maggio, pensiamo anche all’accesso. Precursore sulla parte di accesso è stata la Regione Lombardia, però, pure con un modello a incentivo.
Quindi ci siamo. Possiamo dire che nel 2014 il digital divide sarà un ricordo, come ha già annunciato mesi fa al Corriere Comunicazioni?
Sì, il grosso dei cantieri sarà concluso entro la prima metà del 2014 e gli ultimi lo saranno nella seconda metà. Da maggio 2013 al 2014 apriremo 5mila cantieri.
I bandi però dovevano esserci a febbraio, secondo quanto dichiarato da lei. Perché questo ritardo?
Il bando per il backhauling è già uscito a marzo. Per quello sull’accesso bisognava seguire le formalità, firmare le convenzioni operative con le Regioni. Gli operatori ci hanno detto inoltre, in consultazione pubblica, quali zone intendono coprire nei prossimi mesi con i normali piani commerciali garantendo almeno 2 Mb. Le aree messe a bando devono essere diverse da queste.
Come evitare che il digital divide venga sotto stimato dai bandi? Magari poi gli operatori non coprono le aree che vi hanno comunicato.
La consultazione pubblica è un impegno formale. La faremo ogni sei mesi. Se nei sei mesi precedenti l’operatore non ha fatto la rete annunciata in una certa zona, la inseriremo nei bandi.
Ma come si può obbligare l’operatore a garantire 2 Mb con le tecnologie wireless, dove le prestazioni dipendono da un fattore variabile, l’occupazione della cella?
Con le tecnologie wireless è possibile partecipare al bando solo dando 2 Mb a tutti i cittadini che si trovano nell’area. La rete deve essere dimensionata tenendo conto di parametri teorici che stimano il numero di utenti, anche occasionali, che si troveranno lì. Faremo inoltre un monitoraggio sulla qualità della rete, con Agcom. E se l’operatore non garantisce almeno 2 Mb lo obbligheremo a intervenire, a dimensionare meglio la rete. Perché chi vince il bando si è preso quest’impegno contrattuale con lo Stato.