Sfida 5G. Per Inwit, la principale tower company italiana, frutto della fusione delle torri di Vodafone e Tim e oggi controllore di 22mila torri sul territorio, su questo fronte si gioca buona parte del futuro. Con tanto di investimenti annessi.
Massimo Scapini, Direttore Technology della società, spiega che saranno tre le direttrici lungo le quali la tower company ha deciso di muoversi nel futuro in questo ambito. Linee che si snoderanno di pari passo con le aspettative riposte nel Pnrr (“che per noi resta una grossa opportunità”), al quale resta importante confidare ma cui è necessario affiancare una strategia corporate.
“Come Inwit miriamo innanzitutto a supportare i clienti nel roll out del 5G, con numerosi interventi di adeguamento sui nostri 22mila siti e con un occhio al tema della sostenibilità ambientale – spiega Scapini -. Pensiamo ad esempio all’utilizzo di batterie al litio, di pannelli solari, sistemi di raffreddamento e tecnologie simili. Ma al contempo miriamo a realizzare nuove infrastrutture, con un programma di circa 2mila nuove realizzazioni nelle città e nelle aree rurali”. Terza direttrice, la “realizzazione di coperture indoor dedicate, in aree ad alta densità di traffico”.
E non è tutto. Perché a questo si affianca anche l’impegno di stampo green a “far uscire le nostre torri dal loro ambito tradizionale, per renderle più integrabili esteticamente nell’ambiente circostante e facendone anche degli hub di servizi innovativi, per droni, sistemi IoT e altro”.
Indoor: coinvestire per rendere l’investimento più sostenibile
Sul 5G indoor, dunque, l’attività è già concreta. Ma resta, come puntualizzato da Pogorel, il problema dell’implementazione. Come risolverlo? Per Scapini non si tratta “tanto di un problema tecnologico, quanto di una questione di modello di business – fa notare -. Il punto è che si tratta di investimenti estremamente rilevanti per tecnologie sulle quali c’è una domanda pressante, quindi i gestori devono trovare il modo di affrontare la spesa in modo sostenibile”.
Come? “Noi ad esempio agiamo su due assi: da un lato realizzando impianti condivisi, dal momento che queste tecnologie si prestano ad esser utilizzate da n-operatori in parallelo, tanto più con la tecnologia open run; dall’altro facendo del proprietario della struttura un coinvestitore. Sapendo che senza una copertura adeguata i clienti non sono soddisfatti, questi soggetti sono in genere disposti a coinvestire”.
L’esperienza Inwit, in questo senso, conta già numerosi nomi di primo piano sullo scenario nazionale: dagli stabilimenti Philip Morris, all’Università Federico II Napoli, sino alla M4 di Milano. “In ogni caso, la chiave di volta non è stata tanto tecnologica – conclude Scapini – quanto di modello di business. Una scelta per noi vincente”.