“Il futuro di Telecom? Non è solo legato alle scelte del management ma soprattutto ai piani sulla banda larga”. È la riflessione di Carlo Scarpa economista e docente ordinario all’Università Brescia che spiega al Corriere delle Comunicazioni la sua visione della partita che l’operatore si accinge a giocare.
Professore, cosa prevede nel prossimo futuro per la più grande compagnia italiana di Tlc?
Guardi, fare previsioni tagliate con l’accetta è difficile. I mercati si muovono velocemente, i settori – media e Tlc soprattutto – spesso si “incrociano”. Ma il punto focale resta sempre quello dello sviluppo della banda larga.
In che senso?
Nel senso che per Telecom Italia sarebbe più facile definire strategie di attacco se si capisse, finalmente, che cosa l’Italia vuole fare con la banda larga. Non è pensabile – ma questo vale per tutti gli operatori – predisporre piani industriali efficaci in questo quadro così incerto.
C’è un ruolo che devono svolgere le istituzioni, dunque.
Certo. E riguarda il quadro competitivo. Prendiamo lo Sblocca Italia, tanto per rimanere sulla cronaca di questi giorni. Non che in assoluto non vadano bene le defiscalizzazioni, ma non bastano: il governo dovrebbe dire in quali aree basta l’investimento dei privati, quali quelle in monopolio dove – magari – fare dei bandi di gara e, infine, quali sono quelle dove senza l’intervento pubblico il digital divide non verrà colmato. Detto questo mi pare che l’attuale management si stia muovendo bene e con prudenza.
Telefonica è praticamente fuori dal capitale di Telecom Italia. Lei che idea si è fatto di questa uscita di scena?
È meglio che se ne sia andata, dato che il suo apporto non è stato positivo per il gruppo italiano. A mio avviso è stata, ad esempio, una follia andare contro una sua partecipata quando si è trattato di fare un’offerta per Gvt in Brasile. Quindi fuori Telefonica dentro un altro partner.
Telecom Italia sta perseguendo la strada della public company. Che caratteristiche dovrebbe avere questo partner?
Se è un partner industriale ancora meglio ovviamente. In ogni caso auspico che nell’azionariato siano sempre più presenti fondi in grado di sostenere e gestire la nuova fase di Telecom Italia: servono azionisti con le spalle larghe che possano giocare le partite in campo, a cominciare da quella della convergenza.
Quindi fa bene Telecom Italia a spingere sui contenuti, tentando partnership con produttori e media company?
Il mercato va in quella direzione, mi pare sensato seguire l’onda. Il tentativo fatto con Vivendi per Gvt ha avuto un suo senso strategico e industriale.
Ma il tentativo è fallito. Una disfatta per Telecom?
No, affatto. Anzi, non aver voluto rilanciare con un’offerta più alta, denota saggezza da parte del management. Se si fosse alzata la posta per Gvt, con l’indebitamento che si trova a gestire Telecom, sarebbe stato un disastro. Ci saranno altre opportunità. D’altronde la compagnia sta affilando le armi per vincere quella battaglia: ne è una dimostrazione l’accordo fatto con Sky.
“L’affaire” Gvt ha fatto risalire le quotazioni di Tim Brasil. Oi sta pensando di comprarla. Le crede che vada ceduta?
Il Brasile è un mercato che macina profitti, quindi non vedo perché si dovrebbe vendere Tim a meno di una grossa contropartita che, però, fatico a intravedere. Forse si potrebbe fare di più per sostenere la crescita.
Cosa?
Ci sono tre strade. La prima è puntare sulla crescita interna, del mercato locale, ma è una strategia “lenta” che dà frutti nel lungo periodo. Poi ci sono le acquisizioni, ma non mi pare che in Brasile – tolta Gvt – ce ne siano di veramente interessanti per Telecom. Infine c’è la strada delle alleanze e della convergenza che, a mio avviso, è quella più percorribile. Vedremo cosa deciderà di fare il management.
Il dibattito sullo scorporo si è riacceso. Lei che ne pensa?
La questione dello scorporo è più complessa di come la si disegna. Immaginiamo infatti di separare oggi la rete dal servizio, secondo criteri che oggi possiamo ritenere ragionevoli, e che quindi separeranno alcune funzioni e infrastrutture, attribuite alla “rete”, e altre “adiacenti” che invece saranno assegnate all’impresa di servizio. Se domani emergesse una possibile innovazione che però richieda di svolgere congiuntamente le due funzioni separate in precedenza, avremmo un problema. In altri termini, il confine tra rete e servizio (oltre a essere arbitrario) si sposta nel tempo in un modo che è difficile prevedere. E ingessare la situazione – separando le due cose – rischia di bloccare future innovazioni. A tutto danno dei consumatori. Non credo si possa dire in assoluto che la separazione è “bene” o “male”, ma senza dubbio presenta rischi da non sottovalutare in un settore molto innovativo come le telecomunicazioni.