«Creare le condizioni regolatorie affinché si possano finalmente spingere gli investimenti in banda ultralarga. E farlo in ottica di lungo periodo affinché le aziende interessate a scendere in campo possano avere la certezza di operare in un contesto stabile». È questa secondo Luigi Prosperetti, professore di Economia industriale all’Università Milano-Bicocca, la chiave per uscire da un’impasse che dura da mesi e che non fa certo bene al Paese in termini di competitività globale ma anche e soprattutto al comparto dell’Ict nazionale.
Professore, l’ipotesi dello scorporo della rete di Telecom Italia è tornata protagonista del dibattito. Che ne pensa?
Sono stato sempre dell’idea che imporre uno scorporo dall’alto, ossia in modo imperativo da parte dello Stato non fosse la strada giusta. A decidere deve essere l’azienda. Bisogna ragionare secondo logiche di mercato, è questa l’unica strada. Ferme restando alcune condizioni quadro.
Quali?
Per spingere gli investimenti serve un quadro regolatorio stabile nel lungo periodo. È impensabile cambiare le carte in tavola continuamente. E inoltre è necessario che le regole siano fatte in modo tale da considerare gli sforzi delle aziende che investono. Su questo fronte lo stesso commissario europeo Neelie Kroes, dapprima intransigente e fortemente orientata a ‘costringere’ le telco a investire in fibra, ha ‘ammorbidito’ la propria posizione e la Commissione sta infatti ripensando il quadro regolatorio valutando l’ipotesi di un mix tecnologico che possa spingere la diffusione della banda larga e che possa riconoscere ‘premi’ a chi investe.
TI propende per il Fttc. E DT ha annunciato che il proprio piano di investimenti sarà orientato su questa scelta tecnologica. Cosa ne pensa?
Credo che sia una soluzione adeguata. Per diverse ragioni. Il Fiber to the cabinet consente di aumentare le prestazioni della rete a fronte di investimente decisamente meno onerosi rispetto alla scelta del Fiber to the home. Non è un aspetto da sottovalutare considerato che le telco non navigano nell’oro. Inoltre in termini di performance il Fttc è in grado di rispondere appieno all’attuale domanda di servizi ed anche a quella futura. In Italia in particolare la domanda di servizi che richiedono una banda molto larga latita. E persino le aziende, pur a fronte di un’offerta che già oggi permette di ottenere alta velocità di connessione, non stanno manifestando grande interesse. Se dunque la domanda non c’è come farebbero le telco a veder remunerati i propri investimenti? E poi bisogna considerare che anche in caso di aumento futuro della domanda di banda si può sempre passare al Ftth in un secondo momento. In Italia inoltre si continua a sottovalutare la concorrenza tecnologica.
In che senso?
Nel senso che il dibattito sulla banda larga tende a concentrarsi sulla banda larga fissa. Senza pensare che oggi si sta assistendo a un’esplosione delle connessioni in modalità mobile. Dunque siamo sicuri che il Ftth è ciò che serve al mercato?
Per garantire connessioni mobili ad alta velocità c’è però bisogno della fibra.
Certo, ma non in modalità Ftth. Quindi il problema non si pone. E in caso di congestioni della rete mobile si può andare a intervenire in modo incrementale, di volta in volta sulla singola situazione.
E l’intervento pubblico?
Credo che debba concentrarsi sulle aree in cui il privato non potrà arrivare poiché non remunerative. Lo Stato deve porsi come attore complementare ma mai come protagonista né come sostituto. Altrimenti si rischia di alterare la competizione di mercato. Le aziende devono essere lasciate ‘libere’, ovviamente creando condizioni regolatorie in grado di favorire una corretta competizione.
Cosa ne pensa della possibilità che si creino più ‘veicoli’? Ossia che le telco vadano avanti ognuna per sé con il risultato di più reti in competizione?
Credo che non sia una buona idea. L’Italia è tra i Paesi industrializzati in cui la penetrazione di banda larga è fra le più basse. Più reti significa spartirsi la poca domanda: conviene a qualcuno? Si rischia di perdere tutti. Ben vengano gli accordi fra gli operatori, come quello appena siglato fra Telecom Italia e Fastweb, per evitare di disperdere le risorse e replicare infrastrutture laddove non necessario. La chiave, in questo momento storico, non può essere che la cooperazione.