LA SENTENZA

Scossone in casa Samsung: Lee rischia (di nuovo) il carcere

Il numero uno “de facto” del colosso dell’elettronica, implicato in un vasto caso di corruzione che ha portato all’impeachment della ex presidente della Corea del Sud, era stato scarcerato dopo la sentenza d’appello. Ma la Corte suprema ordina di rivedere il caso

Pubblicato il 29 Ago 2019

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Si potrebbero aggravare i guai legali del vicepresidente di Samsung, Lee Jae-yong, finito nel mirino della giustizia coreana in un caso di corruzione che ha travolto l’intero paese nel 2016 e causato l’impeachment e l’incarcerazione della ex presidente Park Geun-hye: la Corte suprema della Corea del Sud ha in parte respinto la sentenza favorevole ottenuta in appello da Lee e deciso che le accuse contro quello che i media locali definiscono “l’erede al trono” del colosso dell’elettronica andranno giudicate da un tribunale di grado inferiore. Ciò apre le porte a condanne più pesanti, compresa la detenzione.

A fine 2017 i procuratori della Corea del Sud  hanno chiesto 12 anni di carcere contro Lee alla Corte di appello, dopo una condanna a cinque anni inflitta in primo grado. Ma a febbraio 2018 Lee ha vinto l’appello ed è stato scarcerato, avendo ottenuto la riduzione della condanna a due anni e mezzo e la sospensione della pena. Il caso è poi passato alla Corte Suprema che avrebbe dovuto dare il verdetto definitivo; invece, i giudici supremi hanno concluso che l’interpretazione di corruzione accettata dall’Alta Corte di Seul è troppo ristretta e hanno ordinato un nuovo passaggio al tribunale d’appello.

L’Alta corte, infatti, non ha fatto equivalere a tangenti il dono di tre cavalli da parte di Samsung a Choi Seo-won (braccio destro della ex presidente Park, che sta attualmente scontando una condanna a 20 anni di carcere). I cavalli, del valore di circa 3 milioni di dollari, erano destinati alla figlia di Choi, che pratica equitazione a livello professionistico. Secondo l’accusa la ex presidente Park avrebbe chiesto a Lee di aiutare la figlia di Choi nei suoi allenamenti e il regalo equivarrebbe a un pagamento in cambio di favori dalla leader del paese. L’Alta corte non ha accolto questa versione, ma la Corte suprema sembra dar ragione all’accusa.

Lee junior, 51 anni, è figlio di Lee Kun-hee, a sua volta figlio del fondatore di Samsung e presidente del gruppo. Una condanna a più di tre anni di carcere implica in Sud Corea, spiega Reuters, la detenzione immediata.

Lee avrebbe cercato favori dalla ex presidente per ottenere l’appoggio al suo piano di successione alla guida aziendale: l’obiettivo sarebbe di assicurarsi uno stretto controllo di Samsung a scapito di altri manager o membri della famiglia. Gli avvocati di Lee sostengono che Samsung non ha mai ricevuto favori dalla Park e che qualunque pagamento fatto da  Samsung era solo una risposta a quanto richiesto dalla ex presidente.

Un eventuale ritorno di Lee in carcere lo toglierebbe ovviamente da ogni funzione operativa in azienda in un momento cruciale per Samsung, che ha bisogno di una guida e una strategia efficaci per fronteggiare le sfide sia sul mercato degli smartphone che su quello dei semiconduttori. Gli analisti pensano però che il gruppo coreano sia ben attrezzato per affrontare tali sfide, perché, anche se Lee agisce de facto come numero uno dell’azienda, Samsung ha tre ceo dedicati per le sue divisioni chiave (chip, mobile e elettronica di consumo) considerati professionisti affidabili, come commenta Park Jung-hoon, fund manager di HDC Asset Management.

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