Dove va la televisione? “Sottoterra” potrebbe essere una risposta. Risposta meno scherzosa di quanto possa apparire a prima vista. Il passaggio dalle tradizionali trasmissioni del broadcasting via etere ad una visione molto più personalizzata dei contenuti grazie alle possibilità offerte dalle reti in fibra ottica è una via ormai tracciata.
I tempi della transizione non sono certamente rapidi, soprattutto in un Paese come l’Italia dove alla tradizionale scarsità di banda delle reti telefoniche (ma lo scenario sta rapidamente migliorando) si affianca un certo conservatorismo comportamentale degli spettatori, alimentato dall’elevata età media della popolazione.
Ma il futuro è segnato, anche se ci vorrà ancora qualche lustro per celebrare il funerale della vecchia tv. Se gli operatori televisivi vogliono guardare al proprio futuro, è bene però che comincino a prepararsi fin d’ora.
Mentre Mediaset dichiara la guerra a Sky minacciando di salire anch’essa sul satellite e aggredendola sul terreno dei contenuti premium anche a costo di svenarsi (diritti della Champion League), in Europa si affaccia Netflix. Inclusa l’Italia, dove sbarcherà in autunno.
È difficile immaginare oggi se il gruppo americano avrà successo in Italia (condizione indispensabile è l’allargamento della torta pay-tv). Tuttavia, l’arrivo di Netflix rappresenta una svolta: l’inizio della tv (se vogliamo chiamarla così) via cavo in grande stile.
Le implicazioni sono notevoli. Stiamo entrando in un’era multiscreen: tv connesse, ma anche telefonino, tablet, pc e via vedendo. Chi trasmette, dovrà garantire questi formati, organizzandosi affinché i propri contenuti siano “agnostici” rispetto al device.
Significa che tutto deve correre su IP, con una gestione delle infrastrutture dematerializzata, in cloud. Puntando sull’HD e le definizioni del futuro. Per Rai e Mediaset una vera rivoluzione tecnologica oltre che culturale.
I canali come li conosciamo oggi non avranno più senso. Probabilmente l’aggregazione avverrà per tematiche. Vinceranno i modelli di business basati sugli abbonamenti o sul video-on-demand? E con questo modello di fruizione di contenuti immersi in un universo Internet, dove stanno i confini del servizio pubblico? La riforma Rai è anche questo, non solo cda.