LE INDAGINI

Smartphone, nell’inchiesta antiterrorismo di Bari scoppia il caso iPhone

Gli inquirenti sono riusciti a sbloccare i Samsung di due degli indagati, accusati di far parte di una cellula dell’Isis. Ma non il cellulare Apple di un terzo. Una situazione analoga a quella affrontata dall’Fbi con lo smartphone usato dal killer di San Bernardino

Pubblicato il 11 Mag 2016

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Si apre il caso iPhone nell’inchiesta antiterrorismo di Bari. Gli inquirenti non sono riusciti a sbloccare l’iPhone di uno degli indagati nell’inchiesta sulla cellula dell’Isis scoperta dai carabinieri. Si ripropone dunque il tema, già emerso negli Usa dopo la strage di San Bernardino a opera di una coppia di integralisti islamici, dell’indisponisibilità dei codici di accesso ai telefonini anche nel caso di delicatissime indagini antiterrosimo.

Nella vicenda di San Bernardino, la Apple ha rifiutato di collaborare con gli investigatori per decrittare il cellulare. L’Fbi ha prima chiesto alla Corte federale di intervenire con un’ingiunzione legale rivolta alla casa di Cupertino con la motivazione che “era indispensabile all’inchiesta”, poi – di fronte alla resistenza di Apple – ha deciso di rivolgersi “a una terza persona” per entrare nel telefono dell’attentatore. Alla fine sono riusciti a decrittare i contenuti dell’apparecchio, senza l’aiuto di Apple.

I pm baresi hanno specificato che negli smartphone degli indagati era archiviato materiale utile alle indagini. I carabinieri del nucleo investigativo di Bari avevano sequestrato al presunto gruppo jihadista due cellulari Samsung (modello Galaxy) che erano utilizzati da Qari Khesta Mir Ahmadzai e Surgul Ahmadzai, due degli indagati. Grazie al software Oxygen Forensic Suite 2015 sono riusciti ad analizzarne il contenuto, scoprendo le foto e i video dei sopralluoghi fatti dal gruppo, il materiale di propaganda jihadista scaricato da Internet, le immagini in cui gli arrestati erano ripresi con fucili d’assalto in mano. E non hanno avuto problemi a vedere cosa conteneva la memory card da 8gb contenuta nello slot del telefono di Hakim Nasiri.

L’iPhone (modello 6 plus) del terzo indagato Mansoor Ahmadzai, invece, è rimasto intonso. Non è stato possibile sbloccarlo “perché – scrivono i carabinieri nel decreto di fermo – protetto da password, quindi allo stato inviolabile”.

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