L'ipotesi di una società partecipata da soggetti pubblici e
privati per rilanciare le reti di nuova generazione sembra
convincere sia gli operatori sia le isituzioni. A Capri, in
occasione del convegno organizzato da Between "La banda tra
l'uovo e la gallina", Franco Bernabè,
Amministratore delegato di Telecom Italia dice sì senza
mezzi termini alla proposta lanciata da Franco Bassanini. Il
presidente della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) ha proposto di
dare vita ad una società pubblico-privata impegnata nella
costruzione di reti di nuova generazione nelle aree dove il mercato
non ha interesse a portare la fibra ottica. Idea che fa pendant con
la proposta, lanciata già la scorsa estate, dal presidente di
Agcom Corrado Calabrò.
Nello specifico secondo Bernabè, la società veicolo dovrà essere
“a maggioranza pubblica”. Non si tratta di mettere tutti gli
operatori d’accordo per dar vita ad una specie di
“condominio”, giocoforza litigioso e poco realizzativo, bensì
di creare “un soggetto prevalentemente pubblico che investa
nell’infrastruttura passiva”, ha precisato l'Ad. Da tale
società Telecom Italia prenderà in affitto in bit stream o in
unbundling la fibra nelle aree disagiate”.
Una società a guida pubblica “può accelerare la realizzazione
delle nuove reti – ha ribadito Bernabè – E in ogni caso ,Telecom
Italia ha già un suo piano per la fibra e continuerà ad
implementarlo”.
Anche l’Ad di Wind Luigi Gubitosi si è detto in
linea di massima favorevole all’iniziativa anche se, ha
sottolineato, la concorrenza “va salvaguardata. Come operatore
alternativo siamo pronti a fare la nostra parte, ma la nuova rete
deve avere un ritorno dell’investimento, impossibile se non si
utilizzeranno criteri di estrema efficienza”.
Nell'esporre l'ipotesi di una società delle reti,
Bassanini ha inoltre annunciato la disponibilità della Cdp a
mettere a disposizione le proprie risorse in un grande
progetto-Paese per le nuove reti. "Ci deve essere presentato
un progetto finanziario credibile, che preveda un ritorno dei
nostri investimenti, sia pure nel periodo medio-lungo e non a breve
visto che la Cassa non fa investimenti speculativi”. Inoltre
anche le Regioni potrebbero avere un ruolo importante.
"Conoscendo il territorio possono mettere a punto una mappa
precisa delle infrastrutture esistenti, consentendone il riutilizzo
con conseguente risparmio di costi e tempi di realizzazione delle
nuove reti – ha precisato il presidente delle Cdp – Inoltre, le
Regioni finanziariamente più solide potrebbero mettere in campo
risorse proprie, magari dando vita a società congiunte con gli
stessi operatori intenzionati ad investire. “A tali società,
sempre con il benestare del Tesoro, potrebbe partecipare anche la
cassa”.
Intervenendo anche lui a Capri, il presidente
dell'Agcom, Corrado Calabrò, ha ribadito la
necessità di investire nelle Ngn, soprattutto in fase come questa.
“Un anno e mezzo di parole può bastare. È tempo di passare a
un’impostazione operativa”.- ha ammonito -. L’Italia è
l’unico Paese a non avere un piano Ngn. E fra l’altro resta
sulla carta il finanziamento da 800 milioni, necessario per la
messa in opera del Piano Romani. Senza il finanziamento pubblico
non partiranno gli investimenti da parte degli operatori che
valgono almeno 200 milioni di euro”.
Secondo il presidente dell’Agcom “è importante la creazione di
una cabina di regia per evitare che le iniziative in corso si
risolvano in uno spezzatino”. “Serve un progetto da realizzare
con il contributo di tutti – ha aggiunto – .Se non c’è
condivisione prima o poi un anello debole farà saltare
tutto”.
Due le ipotesi possibili per la realizzazione della rete di nuova
generazione: “Primo: l’incumbent finanzia totalmente il
progetto. Secondo: un gruppo di investitori formano società
veicolo, anche di natura consortile, aperta alla partecipazione del
capitale pubblico. A giudizio del mercato, il primo modello non
paga. Il secondo appare più praticabile, anche per il mix di
competenze e quindi dei servizi erogabili”.
Il settore privato investirebbe nelle cosiddette zone nere dove il
mercato può funzionare da solo.
“Il 60% delle aree del nostro Paese sono però bianche, a scarsa
redditività. Qui deve intervenire lo Stato. La Cdp ha
disponibilità finanziaria rilevante che in altri contesti come in
Francia sta giocando un ruolo importante. Poi ci sono le fondazioni
bancarie e fondi italiani e stranieri”. Fra gli attori che
potrebbero confluire nel “consorzio” anche le Poste “che
hanno all’attivo 320 miliardi di risparmi”.
Riguardo alle regole “bisognerà tenere conto della regolazione
come una variabile del progetto”, ha detto Calabrò. “Bisogna
garantire lo sviluppo concorrenziale e pluralistico. E
l’Autorità dovrà fare da catalizzatore nel processo di
transizione. L’Agcom vuole garantire una regolazione innovativa
che incoraggi gli investimenti attraverso un risk premium e la
concorrenza”.
In risposta alla questione sollevata dagli Olo relativamente
all’unbundling e al price cap, il presidente dell’Agcom ha
detto che”le grida di allarme sono ingiustificate. È un fuoco di
sbarramento preventivo”.
Anche per Paolo Bertoluzzo, Amministratore delegato di
Vodafone Italia "serve una società della rete dove
convogliare gli sforzi di tutti. L’alternativa sarebbe che la
nuova infrastruttura venga realizzata da Telecom Italia In questo
caso, però è difficile pensare che non si torni a una condizione
di monopolio”. Vodafone dice dunque no alla logica dei
co-investimenti: “non crediamo affatto – ha proseguito
Bertoluzzo – che ognuno faccia un pezzo di rete, non è
sostenibile nel medio periodo. Solo l’ex monopolista è in grado
di realizzare l’infrastruttura”. L’Ad di Vodafone Italia ha
inoltre sottolineato che “per mantenere la rete in rame nei
prossimi dieci anni si spenderebbero 900 euro per ogni abitazione.
Con la rete in fibra costerebbe molto meno”.