L'ANALISI

Solari: “Spezzatino di Tim? A rischio l’Italia 4.0”

Vendere gli asset di una delle più grandi compagnie di Tlc in Europa non solo determinerà una crisi occupazionale ma farebbe saltare anche tutti i piani di rilancio del paese in ottica digitale. Il punto di vista di Fabrizio Solari, Segretario Generale Slc Cgil

Pubblicato il 22 Nov 2018

Fabrizio Solari

Segretario Generale Slc Cgil

tim

Nel 1997, l’ultimo anno della gestione pubblica, l’allora Telecom era tra le prime cinque aziende del settore nel mondo.  Sviluppava un fatturato di circa 23 miliardi, i debiti stavano sotto gli 8 miliardi, gli investimenti ammontavano a circa 6,5 miliardi l’anno e i dipendenti erano oltre 120.000. Economicamente sana, adeguatamente capitalizzata e fortemente presente all’estero l’azienda era perfettamente in grado di affrontare la sfida della globalizzazione.

Vent’anni dopo, grazie all’intervento dei privati, l’attuale Tim fattura poco più di 19 miliardi, ha circa 30 miliardi di debiti, investe poco più di 3 miliardi, occupa circa 45.000 dipendentie le partecipazioni estere si sono ridotto alla sola realtà brasiliana (Tim Brasil). I numeri raccontano di un lento ma costante processo di scarnificazione che ha impoverito l’azienda, il lavoro e il Paese.

Già 10 anni fa Eugenio Scalfari scriveva: “…l’azienda ha avuto la sventura di diventare preda di un capitalismo straccione, più attento a spolpare il grasso che ad investire in prodotti e tecnologie”.

Ora quel processo è sostanzialmente compiuto e del possente maniero non è rimasto che qualche arredo di pregio. Il degno coronamento dell’impresa può essere ben riassunto nella scelta, anziché impegnarsi per un rilancio, di vendere quel che resta all’incanto e per piccoli lotti in modo da spremere ancora le ultime gocce, così che non resti traccia del misfatto salvo qualche migliaia di disoccupati in più.

E poco importa se, al contrario del resto d’Europa, al nostro Paese verrà meno una grande azienda che avrebbe potuto guidare il processo di digitalizzazione quanto mai necessario per poter competere puntando alla innovazione e allo sviluppo.

La politica (e i Governi) del passato portano la grave responsabilità di aver permesso tutto questo. Mi auguro che la politica di oggi, ed in primis il Governo, non avallino questo progetto che ci ruberebbe un pezzo di futuro. Il sindacato, unitariamente, aveva avanzato una sua proposta già nell’aprile scorso, la aveva inviata a tutti i gruppi parlamentari e, successivamente, al Governo appena insediato.

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