Sono due emendamenti alla legge di stabilità proposti da Michele Meta, presidente della commissione Trasporti della Camera, a riaprire il caso delle frequenze Tv, una questione che coinvolge da vicino gli interessi della Rai e di Mediaset. La richiesta, indirizzata al Ministero per lo Sviluppo economico, è di stabilire quale canone le grandi, medie e piccole tv debbano pagare allo Stato per le loro frequenze.
Se l’aula approvasse le proposte di modifica alla manovra, ricostruisce Repubblica, di fatto non sarebbe più il garante delle comunicazioni a stabilire il canone per le frequenze, come tra mille recenti polemiche è successo finora. A settembre 2014, una delibera del Garante aveva cancellato la norma della Finanziaria 2000 che aveva imposto agli editori di versare l’1% del fatturato come canone per antenne e frequenze, e che aveva portato Mediaset e Rai a spendere fino a 20 milioni.
Con la decisione di settembre 2014, il Garante aveva invece stabilito che il canone avrebbe dovuto essere calcolato sulla base delle frequenze che si detengono, a prescindere dal fatturato: una sorta di maxi sconto per Rai e Mediaset, e una “stangata” per tutti gli altri.
Se la proposta andasse in porto, una volta approvata in via definitiva la legge di stabilità il ministero per lo Sviluppo economico avrebbe a disposizione due mesi per varare un nuovo tariffario, in modo tra l’altro da mettere in pratica le prescrizioni dell’Ue che, in una sua lettera-diffida, aveva chiesto che non fossero favoriti Rai e Mediaset, società verticalmente integrate che grazie a questa caratteristica avrebbero aumentato il loro potere. Sulla questione pende tra l’altro ancora una procedura d’infrazione aperta dall’Ue contro l’Italia, accusata di favorire coccolare troppo gli editori storici.