LA CRISI TLC

Tagli Vodafone, interrogazione Pd al governo: “Attivare tavolo di settore”

La senatrice Ylenia Zambito accende i riflettori sul piano di ristrutturazione della compagnia che prevede mille esuberi: “Gravi ripercussioni economiche e sociali sui territori del nostro Paese”. E chiede al ministro Urso un impegno ad intervernire sul comparto strategico

Pubblicato il 20 Apr 2023

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Licenziamenti Vodafone, faro del Pd. La senatrice del Partito democratico Ylenia Zambito ha presentato un’interrogazione urgente al Governo, indirizzata al Ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso e al Ministro dell’Economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti.

L’interrogazione

“L’interrogazione è relativa al fatto che Vodafone Italia ha avviato la procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale per un numero di 1.003 addetti su una platea complessiva di 5.598 lavoratori – spiega Zambito -. Dopo due incontri tra organizzazioni sindacali e rappresentanti aziendali in cui si sono registrate profonde distanze tra le parti, Vodafone Italia ha deciso, attraverso l’avvio di questa procedura, di proseguire il suo piano di ristrutturazione aprendo le procedure di licenziamento. Le principali sigle sindacali di tlc continuano a ribadire con fermezza che la crisi sistemica del settore non può essere gestita esclusivamente azienda per azienda, attraverso unicamente misure di incentivazione all’esodo e ammortizzatori sociali. Servono interventi strutturali e sistemici che non sono più ricercabili ed individuabili nella sola contrattazione aziendale”.

“Le eccedenze di Vodafone sembrerebbero non essere determinati dalla carenza di lavoro, ma dalla volontà di ridurre i costi – sostiene la parlamentare Pd – Emerge, anche, il chiaro intento di andare a colpire in maniera indiscriminata quelle lavoratrici e quei lavoratori, riqualificati eri-professionalizzati per effetto dell’impianto virtuoso della contrattazione di anticipo che ha caratterizzato gli accordi sindacali negli ultimi anni e che adesso risulta superata se non si interviene con vere misure di sistema da parte del governo. Queste scelte comportano gravi ripercussioni economiche e sociali sui territori del nostro Paese, come ad esempio quello di Pisa che sarebbe interessato da un’unità di 92 esuberi che avrebbe un impatto negativo importante nel tessuto cittadino. Pochi mesi fa, in piena campagna elettorale, veniva annunciato dal partito di maggioranza dell’attuale governo un piano incentrato, tra l’altro, su una maggior ”efficacia” della Golden power sulle infrastrutture strategiche, ed un maggior impegno di Cassa Depositi e Prestiti”.

Le richieste al ministro Urso

“Al Ministro chiedo se sia a conoscenza dei fatti esposti e se non ritenga opportuno attivare con urgenza un tavolo di settore con le parti sociali – spiega Zambito – se il Governo non ritenga opportuno indicare alle imprese la sospensione di atti che determinerebbero ulteriori perdite di occupazione e di capacità industriale per concentrarsi, invece, su un piano di rilancio innanzitutto degli investimenti, oltre a sapere se il Governo non ritenga altresì necessario valutare un più incisivo impegno di Cassa depositi e prestiti ai fini della salvaguardia di un settore strategico come quello delle telecomunicazioni”.

La crisi delle Tlc

Negli ultimi 10 anni il mercato delle Telco ha registrato – i numeri li ha dati la stessa Vodafone al tavolo con i i sindacati – una perdita secca di ricavi dal 2012 ad oggi. Un settore che 10 anni fa contava 42 miliardi di ricavi, nel 2021 ha chiuso con 28 miliardi, con un decremento di 14 miliardi. Gli indicatori non ancora definitivi del 2022 mostrano chiaramente che non vi è stata una inversione di tendenza, anzi la riduzione che si prospetta potrebbe essere ancor maggiore. Nell’ultimo triennio la domanda di connettività, sia sul fisso che sul mobile, è cresciuta notevolmente con le tariffe sempre più basse per un eccesso di competitività nel settore nel paese, dovuta alla presenza di un numero di operatori spropositato al contesto globale.

“Il settore delle telecomunicazioni vive nel nostro Paese una grave crisi e manifesta quotidianamente segni di peggioramento – denuncia dunque Zambito -, assistiamo infatti perdurante situazione problematica di Tim, che sembra evolvere verso una divisione degli assetti societari dell’azienda con la prospettiva di ulteriori e drammatiche riduzioni del personale, mentre Wind Tre vende la sua infrastruttura di rete per fare cassa più che un piano di rilancio”.

“Nel comparto dei customer in outsourcing le aziende più significative persistono nella minaccia di uscita dal contratto tlc, nonostante sia chiaro che ridurre salari e diritti delle lavoratrici e lavoratori non metterebbe in sicurezza il settore dalle politiche ”ribassiste” della committenza. “Lo stesso settore tlc, in tutti i paesi tecnologicamente avanzati – prosegue -, è uno dei pochi comparti ancora in grado di coniugare occupazione di qualità nonostante la fase di grande difficoltà che tutto il continente attraversa”.

“Sul versante occupazionale, tuttavia, esso è stato caratterizzato negli ultimi 15 anni dal continuo ricorso ad ammortizzatori sociali, esodi incentivati, tagli nella contrattazione aziendale, perdite di professionalità importanti, e blocco pressoché totale del ricambio generazionale. La ricetta messa in campo, di recente, dalle principali telco per gestire gli effetti di un mercato deregolamentato, è quella di dividere l’industria (le infrastrutture di rete) dai servizi. Un’impostazione miope che impoverirà ancor di più il settore, trasformando aziende leader del comparto tlc a meri rivenditori di servizi, i cui azionisti di riferimento non sono neanche italiani”, conclude Zambito.

Il piano Vodafone

Vodafone ha annunciato di voler gestire i mille taglicon lo strumento della contrattazione di anticipo con l’obettivo di trovare soluzioni sostenibili per le persone e l’azienda. Dal piano della compagnia emerge “che la strutturale trasformazione del mercato e il drastico calo dei prezzi causato dalla straordinaria pressione competitiva, hanno portato a una forte contrazione di fatturato e margini del settore delle telecomunicazioni, su cui grava anche il peso della crisi energetica”.

Anche per Vodafone l’effetto combinato di questi fattori ha comportato una sensibile riduzione di ricavi e marginalità negli ultimi anni, e questo mette a rischio i piani di sviluppo necessari alla sostenibilità aziendale e del business. Ma anche in questo scenario rimarca la compagnia è stata “mantenuta costante la propria strategia di differenziazione in Italia per continuare a modernizzare la rete, migliorare l’esperienza digitale dei clienti e per accelerare la digitalizzazione delle imprese”

Dal piano di Vodafone emerge “che la strutturale trasformazione del mercato e il drastico calo dei prezzi causato dalla straordinaria pressione competitiva, hanno portato a una forte contrazione di fatturato e margini del settore delle telecomunicazioni, su cui grava anche il peso della crisi energetica”, spiega ‘azienda in una nota.

Anche per Vodafone l’effetto combinato di questi fattori ha comportato una sensibile riduzione di ricavi e marginalità negli ultimi anni, e questo mette a rischio i piani di sviluppo necessari alla sostenibilità aziendale e del business. Ma anche in questo scenario rimarca la compagnia è stata “mantenuta costante “la propria strategia di differenziazione in Italia per continuare a modernizzare la rete, migliorare l’esperienza digitale dei clienti e per accelerare la digitalizzazione delle imprese”.

“La spinta verso modelli di business più agili rende necessaria una revisione dell’organizzazione e una radicale semplificazione del modello operativo per continuare a competere in maniera sostenibile” prosegue la compagnia  che evidenzia la necessità di ridefinire il modello operativo con la “conseguente riduzione del perimetro organizzativo pari a 1.000 efficienze”, sulle quali è stato avviato il dialogo con i sindacati. In questo senso Vodafone “auspica, come accaduto in passato, possa proseguire in modo costruttivo con l’obiettivo reciproco di individuare quanto prima soluzioni sostenibili per tutte le persone e per l’azienda”.

L’allarme dei sindacati

Il settore delle telecomunicazioni è arrivato ad un “bivio drammatico”. Lo scrivono in una nota congiunta le segreterie nazionali Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil, puntualizzando che “sono a rischio reale oltre 20.000 posti di lavoro diretti nel solo perimetro delle telco, senza calcolare gli effetti che saranno generati nell’intero sistema degli appalti del settore, sia per quel che concerne l’impiantistica, la manutenzione, l’installazione delle reti sia fisse che mobili, che per il settore dell’assistenza clienti nella sua interezza”. I sindacati si preparano dunque alla mobilitazione contro quello che, nella nota, definiscono “un modello industriale sbagliato” e contro la “miopia delle aziende e l’assenza di lungimiranza dei governi nei confronti di questo settore fortemente strategico”.

Un mercato che “brucia” un miliardo di ricavi l’anno

“Il settore delle telecomunicazioni, in tutti i paesi tecnologicamente avanzati, è uno dei pochi comparti ancora in grado di coniugare occupazione di qualità nonostante la fase di grande difficoltà che tutto il continente attraversa – scrivono i sindacati -. In termini di risultati economici, volendo comparare le performance 2022 delle telco europee rispetto al mercato italiano, si evidenzia un quadro con qualche sofferenza nell’intero Continente, ma di certo non paragonabile a quanto avviene nel Paese. Un mercato che brucia oltre un miliardo di ricavi l’anno, con un lento e inesorabile “stillicidio” occupazionale, che nell’ultimo decennio ha praticamente dimezzato la forza lavoro dei maggiori gestori italiani. Sul versante occupazionale, infatti, il settore è stato caratterizzato negli ultimi 15 anni dal continuo ricorso ad ammortizzatori sociali, esodi incentivati, tagli nella contrattazione aziendale, perdite di professionalità importanti, e blocco pressoché totale del ricambio generazionale”.

No dei sindacati alla divisione infrastrutture-servizi

In questo scenario, la “ricetta messa in campo dalle principali telco”, ovvero “dividere l’industria (le infrastrutture di rete) dai servizi” non piace ai sindacati. “Una impostazione miope – scrivono – che impoverirà ancor di più il settore, trasformando aziende leader del comparto tlc a meri rivenditori di servizi, i cui azionisti di riferimento non sono neanche italiani”. “In un contesto di mercato ipercompetitivo – aggiungono -, le aziende, per poter sostenere questo modello, dovranno continuare a rivedere al ribasso la struttura dei costi, andando a colpire inesorabilmente il costo del lavoro, generando una conseguente continua riduzione dei perimetri occupazionali”. “Estremamente preoccupante” viene definita la condizione di Tim, in un modello così definito, “tenuto conto dell’impressionante mole debitoria che grava sull’azienda per circa 23 miliardi di euro”: “Da anni il sindacato chiede di aprire un confronto con le istituzioni relativamente alla situazione dell’ex monopolista – recita la nota -, e da anni sistematicamente l’unica risposta è l’imbarazzante silenzio dei vari esecutivi, che preferiscono sfuggire al problema anziché provare a trovare quelle soluzioni che garantiscano al Paese la possibilità di avere un soggetto nazionale di riferimento, così come avviene in tutti i principali paesi europei. Ma la situazione non è migliore nel comparto dei customer in outsourcing, già storicamente in affanno, con le aziende più rappresentative impegnate a ricercare soluzioni ai mali atavici del settore, minacciando ad ogni rinnovo, l’uscita dal contratto delle telecomunicazioni”.

“Ridurre salari e diritti delle lavoratrici e dei lavoratori – proseguono – non metterebbe in sicurezza il settore dalle politiche “ribassiste” della committenza. In assenza di una legge sulla rappresentanza, o di un intervento governativo che stabilisca il contratto di riferimento, ci sarà sempre chi troverà un contratto dal costo inferiore per poter offrire ulteriori ribassi, o ancora, alternative peggiori quali il ricorso all’offshoring”. E “nonostante le importanti conquiste ottenute dal sindacato confederale, ancora oggi troppi committenti, a cominciare dalla pubblica amministrazione, ricorrono a fornitori che applicano contratti “pirata” che generano esclusivamente abbattimenti di salario e riduzioni diritti per le lavoratrici ed i lavoratori”.

Dalle istituzioni “nessun intervento strutturale”

E le istituzioni? Per i sindacati, “non stanno svolgendo alcun ruolo regolatorio, nessun intervento strutturale che possa dare stabilità al settore rilanciando un asset strategico per il sistema paese e tutelando oltre 120mila addetti che operano nel variegato mondo delle telecomunicazioni. Da mesi va avanti un “surreale” tavolo tecnico presso il Ministero delle imprese e del made in Italy, nel quale è completamente assente la voce dei rappresentanti dei lavoratori, e dove si fatica ad immaginare di cosa si dibatta. Fra un’audizione e l’altra Tim, anche grazie all’offerta formalizzata da Cassa Depositi e Prestiti, si avvia velocemente a spezzare in maniera definitiva l’unicità dell’azienda; Vodafone chiede una riduzione dei costi pari al taglio di circa 1000 posti di lavoro, il 20 per cento dell’attuale forza lavoro; Windtre ha ufficializzato la vendita dell’infrastruttura di rete imboccando una strada sbagliata e piena di incognite occupazionali, British Telecom ed Ericsson hanno formalizzato, anche loro, eccedenze. Ogni anno fallisce un importante soggetto fra i call center in outsourcing, mentre quelli che rimangono non riescono a garantire alcuna stabilità occupazionale ed economica, ricorrendo quotidianamente ad ammortizzatori sociali. È evidente quanto il modello industriale del settore sia sbagliato”.

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