LA SENTENZA

Tar del Lazio: Telecom non deve 26 milioni all’Agcom

La sentenza: il pagamento dei contributi richiesti per gli ammanchi nel periodo 2006-2010 non è dovuto. Annullato anche l’aumento dell’aliquota contributiva. Il provvedimento riguarda anche tutte le altre telco che avevano presentato ricorso: per Vodafone in ballo 14,5 milioni

Pubblicato il 05 Mar 2014

Una sentenza che arriva come un terremoto nel sistema di finanziamento di Agcom e delle altre autorità indipendenti: il Tar del Lazio oggi ha accolto il ricorso di Telecom Italia, Wind, Fastweb e Sky che si opponevano alla richiesta Agcom di pagare parte del contributo al finanziamento negli anni 2006-2010. Si tratta di 26,7 milioni per Telecom, 14,59 milioni per Vodafone,.519 mila euro per Fastweb, 9,6 milioni per Sky e 2,96 milioni per Wind.

La sentenza annulla inoltre l’aumento dell’aliquota contributiva, avvenuto con delibera Agcom del 2011, dall’1,5 all’1,8 per mille dei ricavi, e ritiene incompatibile con la direttiva comunitaria quanto stabilito dalla Finanziaria 2010, cioè che parte dei contributi degli operatori diretti all’Agcom fossero devoluti ad altre Autorità.

Si noti che una successiva delibera del 2013 l’ha portata al 2 per mille.

Il Tar, a quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni, ha quindi deciso di riunire i ricorsi dei quattro operatori, con una sentenza unica, che accoglie quanto da loro richiesto.: che icontributi al finanziamento debbano essere strettamente legati alle attività regolamentate dall’Autorità.

Il Tar giunge a questa decisione dopo aver interpellato la Corte di Giustizia europea. E’ di quest’ultima la tesi, appunto, che il contributo delle società all’Autorità debba essere strettamente legato ai ricavi delle sole attività regolamentate. “L’imposizione di diritti amministrativi agli operatori – scrive la Corte – si giustifica esclusivamente sulla base dei costi effettivamente sopportati”.

Da Agcom fanno sapere di non aver ancora deciso se andare alla Consiglio di Stato per opporsi alla sentenza del Tar. Aggiungono però che la questione, alquanto intricata, verteva sul perimetro dei ricavi degli operatori su cui applicare l’aliquota. Secondo Agcom era più ampio rispetto a quanto stabilito dagli operatori telefonici (alcuni dei quali- riferiscono dall’Autorità- per esempio eliminavano i ricavi sms dal totale assoggettato ad aliquota).

Nella sentenza si rileva anche una nota positiva per l’Agcom, però, a quanto pare: il Tar, sempre sulla scorta della Corte di Giustizia, ritiene incompatibile con i principi comunitari il fatto che, secondo la finanziaria 2010, parte dei contributi degli operatori diretti all’Agcom fossero poi devoluti ad altre Autorità. Un aspetto su cui aveva fatto battaglia lo stesso Angelo Cardani, presidente Agcom. Ancora a novembre 2012 aveva chiesto di “sopprimere” la norma relativa alla “proroga del sistema di trasferimento dei fondi dell’Autorità ad altre Autorità indipendenti’. La norma, inizialmente prevista per gli anni 2010-2012, “quale misura eccezionale e transitoria sembra ora figurarsi nella sostanza quale sistema organico di mutualita” ed è “in contrasto” con i principi della Ue.

Cardani aveva segnalato allora che dopo l’applicazione della stessa disposizione per gli anni 2010-2012, poi prorogata per gli anni 2013-2015, “tutti i maggiori operatori di telecomunicazione hanno promosso ricorsi innanzi al Tar del Lazio”.

La sentenza odierna sembra insomma dare ragione a Cardani. Il trasferimento di fondi Agcom ad altre autorità ha causato l’aumento dell’aliquota, esacerbando gli animi degli operatori. Di qui i ricorsi e la sentenza odierna, che forse costringerà il Governo a ripensare il sistema di finanziamento delle autorità.

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