Il presupposto della tassa governativa di concessione sulla telefonia mobile non è la licenza, ma le prestazioni periodiche del servizio telefonico. Sono queste ultime a essere il fatto generatore dell’obbligazione tributaria alle scadenze dei pagamenti dei corrispettivi. Lo stabilisce la recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 8825 del 1° giugno 2012.
Lo scrive il Sole 24 Ore, secondo cui superato il precedente regime concessorio, il nuovo Codice delle comunicazioni (decreto legislativo 259/03) ha affermato la libertà e la libera disponibilità delle forniture di servizi di comunicazione, con la conseguenza che il contratto di abbonamento stipulato dall’utente riacquista la sua natura corrispettiva.
Dopo aver perso la maggior parte delle controversie instaurate per la restituzione della tassa già pagata, l’agenzia delle Entrate è uscita allo scoperto con la risoluzione 9 del 2012: esaminate le disposizioni e, in particolare, la sostituzione dell’articolo 318 del vecchio codice postale del 1973 con l’articolo 160 del decreto legislativo 259/2003, l’Agenzia ha confermato che il presupposto per la tassazione della telefonia mobile resta l’abbonamento dal momento che esso prende il posto, in base all’articolo 160, comma 2, del decreto legislativo 259/2003, della licenza.
E’ in questo contesto che si inserisce la sentenza 8825 della Corte di cassazione. Intanto la pronuncia dà atto che il nuovo Codice delle comunicazioni ha sostituito il precedente regime di privativa legale regolato da provvedimenti concessori con un nuovo regime fondato sulla libertà di fornitura di servizi di comunicazione. Il presupposto impositivo viene ricollegato “non già all’emissione di un atto amministrativo, ma al mero presupposto di fatto (di natura cronologica) della durata della prestazione di servizi così come conteggiata da ciascuna bolletta dal gestore all’abbonato”.