La tassa per la concessione governativa sugli abbonamenti dei telefonini è stata “messa al sicuro”. È stato infatti espresso parere favorevole oggi dalla commissione Trasporti della Camera sulla norma contenuta all’articolo 2, comma 4, del Decreto legge sul rientro dei capitali detenuti all’estero che prevede l’equiparazione delle apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terreste di comunicazione alle stazioni radioelettriche. Cosa significa in concreto?
In pratica è una “blindatura” della tassa di concessione governativa richiesta dagli operatori telefonici al momento della stipula del contratto, pari a 5,16 euro al mese sugli abbonamenti delle persone fisiche e 12,91 euro su quelli delle imprese. In passato sette commissioni tributarie venete avevano accolto la tesi dell’illegittimità della tassa sostenuta da alcuni Comuni tra cui Padova, ma l’Agenzia delle Entrate aveva presentato ricorso: su questo ricorso si è pronunciata il 25 febbraio scorso la Corte di Cassazione, con una sentenza che però non è stata ancora diffusa.
Una “giurisprudenza altalenante”, come l’ha definita, parlando al Corriere delle Comunicazioni, Paolo Coppola (Pd). Ma l’equiparazione delle apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terreste di comunicazione alle stazioni radioelettriche, alla quale appunto la Commissione Trasporti ha dato l’ok, fa chiarezza una volta per tutte: la tassa si pagherà perché le stazioni radioelettriche già la pagano. E si pagherà con certezza qualunque sia la decisione della Corte di Cassazione.
“Con questa norma il governo ha deciso di dare un’interpretazione esplicita” ha spiegato Coppola.
Il parere favorevole della Commissione Trasporti ha però suscitato l’ira dei pentastellati, che la definiscono una “norma-vergogna”. “In questo modo – dice al Corriere delle Comunicazioni Paolo Romano – il governo entra a gamba tesa nel dibattito. Si tratta di una norma odiosa non solo perché i cittadini continueranno a pagare questa tassa, ma anche perché va a mettersi di traverso rispetto all’imminente pronunciamento della Corte di Cassazione in merito alla sua legittimità”.
Romano aggiunge che il suo movimento non è affatto “convinto dalle giustificazioni avanzate dalla maggioranza, che si fondano sul possibile danno erariale nel caso di soccombenza dello Stato in giudizio. Primo perché non sono chiare le cifre dell’eventuale ammanco: il governo parla di 8 miliardi di euro mentre la sezione tributaria della Corte di Cassazione parla di 3 miliardi e mezzo. Secondo perché è impensabile che lo Stato possa pensare di risolvere controversie giudiziarie a colpi di emendamenti”.
Ma Coppola ribatte: “I 5 Stelle utilizzano strumentalmente l’attività parlamentare solo per guadagnare visibilità e non per fare proposte utili per i cittadini”.
Ora il Decreto legge prosegue nel suo iter parlamentare, ma non ci dovrebbero essere ulteriori intoppi lungo il percorso.