A inizio settembre sono avvenute due clamorose operazioni, non solo finanziarie: la cessione dei telefonini Nokia a Microsoft e il divorzio Vodafone-Verizon. Segni che l’ondata di consolidamento nel settore delle telecomunicazioni (compresi i fornitori di apparati) comincia ad investire pesantemente anche l’Europa. Se ne parla da tempo ed il momento è arrivato. Anche se come europei per ora non possiamo brindare più di tanto: Vodafone lascia gli Usa (sia pure con un superincasso) mentre il controllo dell’ultimo grande produttore europeo di telefonini si trasferisce oltreoceano.
Tutto fa pensare che l’Italia sarà il teatro delle prossime mosse del risiko. L’intero mercato è in sommovimento in un gioco ad incastri dalle soluzioni più disparate: dalla fusione Telecom Italia-Telefonica al take-over di Telecom da parte di Vodafone la quale potrebbe, però, prendersi Fastweb; dall’ingresso degli americani di Att al ritorno di attenzione per Telecom del messicano Carlos Slim; da Wind a Tre che potrebbero unirsi, ma con i cinesi che non hanno affatto rinunciato all’intesa con Telecom. Per non parlare dell’egiziano Sawiris che, mollata Wind, torna a puntare su TI.
In effetti, al centro dei giochi c’è Telecom Italia. Resta pur sempre tra i maggiori operatori europei, ma poggia su basi finanziarie e azionarie deboli. Moltissimo è stato fatto per la riduzione del debito, ma recessione e guerra dei prezzi hanno vanificato molti sforzi. Telco è stata un azionista che ha frenato. La scadenza del patto rimette in gioco tutto. Per andare dove? A Telecom non servono soci finanziari forti, ma azionisti che entrino sulla base un progetto industriale chiaro e condiviso, che punta allo sviluppo della società, non al suo svilimento. L’accordo con Cdp sembra su un binario morto, con il governo rimasto alla finestra.
Telecom, però, non è soltanto uno dei maggiori gruppi industriali italiani che gestisce una importantissima infrastruttura critica per il Paese (Datagate docet); i suoi investimenti nelle nuove reti sono indispensabili per l’infrastruttura digitale e l’innovazione di un Paese che fa i passi del gambero. Tutto questo ha a che fare con l’Italia. Non solo con Telecom. E non è un problema di passaporto degli azionisti.