Lo Statuto di Telecom Italia va cambiato? Come? E a quali condizioni per una public company è auspicabile adottare la nuova normativa sul voto maggiorato? (contenuta nel decreto competitività – legge 91 del 24 giugno 2014 – poi convertito nella legge 116 dell’11 agosto e “licenziata” dalla Consob attraverso l’approvazione delle modifiche al regolamento emittenti a seguito della relativa consultazione pubblica).
Su questi importanti interrogativi accende i riflettori Carlo Alberto Carnevale Maffè docente di Strategia alla School of Management dell’Università Bocconi di Milano.
“Convertirsi al voto maggiorato per Telecom Italia potrebbe rappresentare un’occasione di legittimazione e consolidamento per le necessarie strategie di lungo periodo che il settore richiede. Ma – avverte al contempo il docente della Bocconi – di contro c’è il rischio di un effetto boomerang: far rientrare dalla finestra del voto maggiorato ciò che è uscito dalla porta della golden share politica. Per una public company infrastrutturale il ricorso al voto maggiorato possa essere positivo, ma a patto che non ci siano interferenze da parte della politica e che il quadro regolatorio sia stabile e leggero. Non sembra, purtroppo, il caso di Telecom Italia”.
Dunque niente voto maggiorato per Telecom?
Le condizioni sono almeno tre: nucleo di azionisti stabili, minimizzazione dell’interferenza politica, adeguamento di statuto e governance. Non mi sembra che le prime due siano presenti, essendo la terza un requisito legale. In ogni caso, prima di arrivare a decisioni definitive è opportuna una corretta definizione di scenario e un’analisi di costi e benefici. Serve un dibattito articolato e trasparente tra gli azionisti e il management, altrimenti si rischia di reintrodurre un modello asimmetrico, alimentando potenziali conflitti d’interesse che in passato hanno creato non pochi problemi all’azienda.
Ma quali potrebbero essere i vantaggi per Telecom?
Per una public company del settore Tlc il voto plurimo avrebbe senso, se fosse associato a un impegno di un gruppo di azionisti per investimenti di lungo periodo. Le telco operano in un contesto altamente competitivo, con cicli di ritorno dell’investimento lunghi, incerti ed esposti a forte rischio regolatorio. L’adozione del voto maggiorato può consentire la creazione di un nucleo stabile di azionisti con un committment di lungo termine, che in cambio ottiene dal mercato il diritto di pesare di più nelle decisioni. Come purtroppo è accaduto in alcune gestioni del passato, l’accorciamento dell’orizzonte temporale degli investimenti erode progressivamente le base di vantaggio competitivo. Ma il voto maggiorato è un premio per chi ha prospettive d’investimento a medio-lungo termine, non un moderno trucco per tornare a un capitalismo senza capitali, che invece di ricorrere a scatole cinesi stavolta fa leva sulle classi di azioni.
Il necessario rifacimento dello statuto rappresenterebbe dunque un’occasione?
Certamente un’occasione per capire come aggiornare le regole di governance a fronte dell’adozione di classi di azioni diverse. Serve comunque un approccio market friendly: niente reintroduzione surrettizia di nocciolini duri, o di gherigli di noce avanzati. La governance va usata come elemento distintivo per favorire l’attrattività dell’investimento in azienda: l’opportunità di adottare il voto differenziato deve essere quindi l’occasione per proseguire sulla strada di una prospettiva strategica di lungo termine. Il management di Telecom ha di fronte una sfida: dimostrare di credere nel percorso iniziato un anno fa, affrancandosi da nuclei di controllo senza capitale, con interessi in divergenza se non addirittura in conflitto. Adottare il voto maggiorato, in tal senso, potrebbe essere un modo di mandare al regolatore un segnale chiaro: che si crede nella crescita di lungo termine, purché in condizioni regolatorie chiare, stabili e leggere, in grado di garantire un mercato competitivo, senza indebite interferenze politiche.
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