LA CESSIONE

Telecom Italia, via dall’Argentina “appena in tempo”

Mf-DowJones: la cessione della controllata sudamericana è avvenuta alla vigilia di una nuova potenziale crisi nel paese. Ieri Banca Centrale di Buenos Aires non è intervenuta per evitare il deprezzamento del peso, scatenando vendite che hanno riportato la valuta ai livelli del 2002, anno del default

Pubblicato il 24 Gen 2014

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Appena in tempo, verrebbe da dire in merito alla cessione della controllata argentina da parte di Telecom Italia alla luce di quanto sta succedendo in questi giorni alla valuta del Paese sudamericano. E’ la riflessione fatta dall’agenzia Mf-DowJones.

Telecom aveva accettato a metà novembre l’offerta di acquisto dell’intera partecipazione di controllo detenuta in Telecom Argentina, direttamente ed attraverso Telecom Italia International, Sofora Telecomunicaciones, Nortel Inversora e Tierra Argentea, avanzata dal gruppo Fintech per un importo complessivo di 960 milioni di dollari.

Ai tempi l’operazione fu criticata da più parti tanto che l’Ad di Telecom, Marco Patuano, in varie occasioni aveva difeso l’operazione spiegando che “Telecom Italia deve concentrare gli investimenti nei suoi core markets e ripagare il proprio debito: il miglior contributo di Telecom Argentina al nostro piano industriale era quindi la sua cessione. L’impossibilità di pagare dividendi o esportare divisa dall’Argentina rappresentava per Telecom Italia una reale criticità”. La controllata sudamericana, aggiungeva Patuano quasi come una premonizione, “opera in un contesto socio/politico altamente instabile, con forti limitazioni alla libera circolazione dei capitali”.

Ancora, nel corso dell’assemblea del 20 dicembre l’Ad era tornato sull’argomento affermando che negli anni in cui Telecom Italia decise di incrementare progressivamente la partecipazione in Telecom Argentina, “il Paese era caratterizzato da un’estrema volatilità. Era un momento in cui le condizioni economiche erano di un certo tipo, con prezzi molto alti delle materie prime e con la Cina che comprava”. Inoltre, c’erano “molti flussi di valuta straniera che arrivavano e Peso stabile, con riserve elevate di valuta da parte” del Paese sudamericano. “Era un momento transitorio e adesso la situazione è esattamente opposta”, aveva osservato Patuano. “Le riserve di valuta straniera sono sotto pressione e il momento politico è particolarmente sfavorevole – o per lo meno attraversa una transizione che durerà almeno due anni”.

Ora nel Paese sudamericano stanno arrivando al pettine nodi latenti da tempo accentuati in questi giorni dalla tempesta valutaria. Ieri la Banca Centrale di Buenos Aires, che solitamente vende dollari per acquistare peso per evitare il deprezzamento della moneta nazionale, non è intervenuta scatenando vendite che hanno riportato la valuta ai livelli del 2002 anno in cui il Paese dichiarò default. Il peso argentino da inizio 2014 ha perso il 18,6% nei confronti del dollaro, di cui il 13,9% solo negli ultimi due giorni. Nel 2013 la moneta di Buenos Aires si è indebolita del 24% nei confronti del biglietto verde. Prendendo poi l’arco temporale che va tra il rimpasto di Governo effettuato il 18 novembre scorso, solo qualche giorno dopo la cessione da parte di Telecom, ad oggi, la valuta ha perso il 25%. A livello mondiale nessuna moneta ha fatto peggio.

Per le società straniere, che in Argentina hanno delle realtà che fatturano in peso, quello che sta succedendo non è certo una buona notizia. Chi se ne è uscito invece, come Telecom, tira un sospiro di sollievo anche perché se il gruppo di Tlc italiano avesse messo in vendita oggi quella partecipazione avrebbe spuntato una cifra ben inferiore rispetto al miliardo circa di due mesi fa.

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