SCENARI

Telecom, Mediaset e Vivendi: il triangolo che agita Agcom

Sul tavolo un dossier che scotta: scalata straniera, grandi player coinvolti e un caso inedito per la Legge Gasparri. Opa improbabile, ma i tempi lunghi dell’istruttoria potrebbero spingere Bolloré a giocarsi nuovi assi

Pubblicato il 04 Gen 2017

Andrea Frollà

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Mediaset, Vivendi e Telecom. Volendo parafrasare una delle più celebri canzoni di Renato Zero, si direbbe che fino a qualche mese fa nessuno aveva considerato seriamente questo triangolo. Fin dall’avvio delle trattative tra Mediaset e Vivendi sulla pay-tv Premium si erano sì rincorse voci su un coinvolgimento diretto o indiretto di Telecom Italia nel futuro duo italo-francese, ma puntualmente erano state smentite in via ufficiale dai vertici della telco.

Scenario rimasto immutato fra indiscrezioni e smentite anche dopo il dietrofront di Vivendi su Premium e la recente salita fulminea al 28,8% del capitale di Mediaset. Ora, volente o nolente, e se non altro per questioni regolatorie, Telecom è diventata parte integrante di una partita le cui acque sono poco pacate. Basti pensare al rastrellamento di azioni Mediaset da parte di Bolloré e il contrattacco della famiglia Berlusconi a suon di esposti in Procura e alle authority. Proprio a ridosso delle feste natalizie il dossier è arrivato sul tavolo dell’Agcom: vista la delicatezza della vicenda e gli interessi in gioco, rischia di aver mandato di traverso pandori e panettoni a commissari e funzionari. Infatti, le “misurazioni” su cui sono al lavoro tecnici e avvocati dell’authority faranno da ago della bilancia nella complicata partita. Un ruolo particolamente delicato e determinante, visto che le sorti di una eventuale Opa di Vivendi su Mediaset sono strettamente intrecciate al giudizio di Agcom.

Angelo Marcello Cardani, presidente dell'Agcom

Opa sempre più difficile – I pesanti scambi a Piazza Affari delle scorse settimane sono serviti a far posizionare i fondi e gli azionisti minori, che si spartiscono ciò che i due azionisti principali (Fininvest al 38,26% con il 39,78% dei diritti di voto e Vivendi al 28,8% con il 29,94% dei diritti di voto) hanno lasciato al mercato. Per stessa ammissione dell’Ad della società francese, Arnaud de Puyfontaine, la salita è partita per mettere pressione a Berlusconi e spingerlo alla ricerca di un nuovo accordo. Non a caso, la marcia transalpina si è fermata a un passo dall’Opa obbligatoria, che scatterebbe se Vivendi salisse oltre il 30%. Una situazione che a oggi appare improbabile, ma che non può essere esclusa a priori. Qualora si verificasse, è verosimile che l’orientamento di Agcom possa essere quello di far intervenire la Consob per stoppare la presentazione dell’offerta, magari in attesa della valutazione delel quote di mercato stabilite dalla Gasparri. Nel frattempo, anche il governo non sta alla finestra, pur avebndo evitato sinora di prendere posizioni troppo nette preferendo impegnarsi in un’opera di moral suasion dopo l’esclusione dell’esercizio di qualsiasi golden power.

La palla in mano all’Agcom – In queste settimane tra le finestre degli uffici di Cologno Monzese non si è vista alcuna apertura nei confronti di Bolloré e soci, anzi sono partite solo denunce e chiamate in causa per Consob e Agcom. Proprio l’Autorità garante per le comunicazioni giocherà un ruolo fondamentale nello spostamento di un equilibrio e di una calma che profumano di tattica. L’annuncio di apertura di un’istruttoria del 21 dicembre è arrivato appena 5 giorni dopo quello che era suonato come un altolà preventivo dell’Autorità che, citando le partecipazioni di Vivendi in Telecom (28,6%) e in Mediaset (28,8%), aveva avvisato che “operazioni volte a concentrare il controllo delle due società potrebbero essere vietate”.

L’ipotesi di divieto alla prosecuzione dei progetti di Vivendi si poggia sull’ormai famoso articolo 43 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (Tusmar) e in particolare sul comma 11: “Le imprese, anche attraverso società controllate o collegate, i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai sensi dell’articolo 18 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, sono superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi di quel settore, non possono conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni (Sic) ricavi superiori al 10 per cento del sistema medesimo”. La disposizione, frutto del decreto datato 2003 opera dell’allora Ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri, sembra sbarrare la strada a Bolloré. Ma la cautela deve farla da padrona, per diversi motivi.

Maurizio Gasparri, ministro delle Comunicazioni dal 2001 al 2005

Mediaset, Telecom e l’importanza dei ricavi – Saranno i numeri a giocare un ruolo fondamentale nel corso dell’istruttoria Agcom. Per quel che riguarda il Sic, i dati in mano all’authority si fermano al 2014 (l’aggiornamento 2015 dovrebbe arrivare a breve) e riconoscono a Mediaset una quota complessiva nell’insieme dei 5 mercati rilevanti (televisione in chiaro, pay-tv, radio, quotidiani e periodici) pari al 13%, quindi superiore a uno dei due tetti individuati dalla Legge Gasparri. Lo stesso indice era stato sugli stessi livelli (13,1%) nel 2013. Immaginare che Mediaset, i cui ricavi italiani sono tra l’altro cresciuti fra 2014 e 2015 (da 2,48 a 2,55 miliardi), possa scendere sotto il 10% del Sic appare inverosimile. Anche se resta da verificare il peso della performance di Google & Co.

Situazione simile, seppur con sfumature diverse, anche rispetto all’altra fetta, ossia quella relativa al mercato delle comunicazioni elettroniche. La definizione di questo mercato poggia sulle indicazioni delle raccomandazioni UE, che cita quattro ambiti rilevanti: fornitura all’ingrosso del servizio di terminazione delle chiamate su singole reti telefoniche pubbliche in postazione fissa; fornitura all’ingrosso del servizio di terminazione delle chiamate vocali su singole reti mobili; accesso locale all’ingrosso in postazione fissa e accesso centrale all’ingrosso in postazione fissa per i prodotti di largo consumo; accesso all’ingrosso di alta qualità in postazione fissa.

Ma finora un calcolo preciso del peso dei player in questo spazio di mercato non è mai stato effettuato e l’attribuzione del 44,7% a Telecom Italia, citata nel comunicato Agcom di fine dicembre, va preso come dato ufficioso perché, come spiega la stessa authority, basato su una “preliminare analisi su dati 2015”. Comunque, stime più aggiornate dell’authority propendono a inserire la telco in una forchetta che oscilla fra il 42 e il 45 per cento.

La “verginità” della Legge Gasparri e i tempi Agcom – L’assenza di numeri ufficiali per il mercato delle comunicazioni elettroniche non è da ricondurre a chissà quale dimenticanza dell’Autorità, ma semplicemente al fatto che questo fantomatico comma 11 dell’articolo 43 del Tusmar non ha mai trovato applicazione dalla sua entrata in vigore. E proprio questo aspetto potrà determinare gli equilibri della partita. La mancanza di un qualsiasi precedente concreto e di orientamenti della giurisprudenza in materia pone infatti alcune difficoltà interpretative, con cui l’authority si dovrà fronteggiare.

Vincent Bolloré, patron di Vivendi

Ci sarà infine da tenere d’occhio anche, e soprattutto, i tempi del procedimento dell’Autorità garante per le comunicazioni. Dal momento dell’avvio vero e proprio dell’istruttoria alla conclusione, tra vincoli di chiusura dell’istruttoria dettati dal Regolamento Agcom (120 giorni) e possibilità di sospensione per ulteriori approfondimenti (fino a 60 giorni aggiuntivi), potrebbero passare anche 6 mesi. Un tempo probabilmente troppo lungo per pensare che, nel frattempo e magari per scongiurare grane legali e regolatorie, Bolloré non si giochi qualche asso per brindare a un nuovo accordo con Berlusconi. Un’ipotesi, quest’ultima, che toglierebbe dalla pentola dell’Agcom una patata che definire bollente è dire poco.

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