Les jeux sont faits? Telecom è diventata francese? Più che possibile è probabile. Ma di sicuro non è vera la seconda parte della frase in voga nei casinò. Al contrario di “rien ne va plus”, una rivoluzione rischia di accadere in Telecom Italia, e a stretto giro di posta. Negli assetti azionari, nel management, nelle strategie, nelle alleanze, nei rapporti con la politica.
Il miliardario francese Xavier Niel ha acquisito un pacchetto rilevante di Telecom Italia: l’14,4% in derivati a lungo, per un valore di mercato di oltre 2 miliardi di euro.
Non sorprende che la Borsa abbia creduto che si tratti soltanto dell’inizio dei giochie che il titolo Telecom sia impennato in un paio di giorni di oltre 10% nonostante la contemporanea debolezza dell’indice di Piazza Affari. Neil non è un finanziere qualunque. Il miliardario francese, pur avendo appena 48 anni, è un veterano delle telecomunicazioni d’oltralpe. Con Iliad controlla il secondo Internet service provider francese, con Free il terzo operatore mobile.
È un finanziere, ma è soprattutto un imprenditore bravo a fare industria oltre che finanza. Ed il suo ingresso in Telecom Italia, con una quota così consistente, non può che essere letta anche con la lente dell’investimento industriale. Sarà ovviamente la Consob e le altre autorità di mercato a chiedere spiegazioni ufficiali a Neil. Ma non ci si può limitare a queste.
La quota di Niel in TI, sbucata all’improvviso sotto i riflettori con lo scoop di Bloomberg, si affianca a quella che la Vivendi di Bollorè già detiene in TI: il 20,3%, cresciuta anch’essa proprio in queste ultime settimane dall’iniziale 14%, rilevato da Telefonica.
“O Franza o Spagna purché se magna”, verrebbe da scherzare. Ma la faccenda è estremamente seria. In gioco è il destino della principale azienda di telecomunicazioni del Paese. Anche senza essere per forza nazionalisti ad oltranza. A prima vista verrebbe da pensare ad un’operazione a tenaglia su TI. Ovviamente, se Bollorè e Neil avessero concordato la rispettiva presa, il lancio di un’Opa su Telecom Italia sarebbe obbligato. Ma l’intesa, se c’è, non è facile da dimostrare. Non va sottovalutata nemmeno l’altra scuola di pensiero: quella che vede Neil agire in accordo con Nagud Sawiris, l’ex proprietario di Wind di cui il finanziera francese è in relazioni di amicizia. Sawiris torna all’assalto di Telecom (in passato aveva provato ad entrarci sin dai tempi di Franco Bernabè) per interposta persona? Oppure, e nemmeno questa pare ipotesi del tutto irragionevole, Neil sarebbe entrata in Telecom Italia (a un prezzo propozionalmente pù basso di quello che ha pagato per Monaco Telecom e per Orange Swisse) per stoppare un possibile futuro accordo tra Vivendi e Orange France in terra d’Italia. Comunque sia, quella scoccata giovedì 29 settembre è solo l’inizio di una stagione di scintille.Speriamo non sulla pelle di Telecom come purtroppo è già avvenuto più volte in passato.
In Italia si sta giocando in queste settimana una partita durissima sul tema degli investimenti nella banda ultralarga. E il ruolo di Telecom Italia resta cruciale, per qualunque soluzione. Il governo ha buttato sul piatto un investimento di fondi pubblici attorno ai 7 miliardi, di cui 4 miliardi mobilitabili in tempi brevi. Per questo Palazzo Chigi non può rimanere indifferente a quel che succede sul fronte dell’azionariato di Telecom.
Difendere una Telecom italiana sembra uno slogan di tempi ormai passati. Così come è inutile piangere sugli errori di una privatizzazione sbagliata che ci ha portato a queste conseguenze. Gridare al nemico d’oltralpe non serve. Piuttosto, alla politica si chiede di avere garanzie su quelli che sono gli interessi del Paese: investimenti e crescita per avere un sistema di infrastrutture del Paese all’altezza dell’era digitale e un mercato efficiente.