“Sicuramente è un progetto su cui non stiamo lavorando”. L’Ad di Telecom Italia, Marco Patuano, ha smentito le indiscrezioni che parlano di una possibile fusione con Poste Italiane. ”Già mi sono sposato due volte nella vita”, ha aggiunto con un sorriso a margine di un evento Telecom.
Per il futuro di Telecom Italia, scrive Il Messaggero, spunta un possibile matrimonio con Poste Italiane. Secondo il quotidiano il piano di privatizzazione della società guidata da Massimo Sarmi sta prendendo corpo in due fasi: prima la privatizzazione e poi l’integrazione con Telecom per creare un maxi gruppo integrato in grado di competere a livello internazionale, ottimizzare i costi, mettere a fattore comune reti e know how. In questo quadro, ovviamente da definire nei dettagli, le parole di Letta ieri in Parlamento, anche se generiche – sostiene il quotidiano – hanno indicato un percorso e soprattutto un traguardo. Su cui in gran segreto si stanno già cimentando numerose banche d’affari chiamate a rendere concreto il matrimonio Poste-Telecom.
Il ruolo di Poste- scrive Il Messaggero – potrebbe essere davvero cruciale qualora Telefonica dovesse arretrare a causa di impedimenti legislativi (la nuova legge sull’Opa) o regolamentari (i paletti delle autorità di controllo in Italia e Brasile). Senza considerare che il gruppo spagnolo, che ha sulle spalle oltre 60 miliardi di debiti, potrebbe avere dei seri problemi finanziari se fosse costretto, come sembra, a consolidare i debiti anche di Telecom, visto che per l’Antitrust brasiliano ha il controllo di fatto della società italiana.
Secondo gli analisti l’ipotesi Poste-Telecom è suggestiva, anche se complessa e non rapida nei tempi. “Ci pare un progetto complesso e per nulla immediato nei tempi. Tuttavia dimostra che, fintanto che Telefonica è bloccata ad una quota di minoranza di Telco e quindi al 10% indiretto in Telecom, restano aperte diverse ipotesi/soluzioni future per Telecom Italia”, commenta Equita Sim. Sul titolo Telecom gli analisti hanno una raccomandazione hold con prezzo obiettivo a 0,75 euro.
“Crediamo che il processo di privatizzazione di Poste Italiane attirerebbe un buon interesse dagli investitori internazionali e questo consentirebbe all’Esecutivo di accelerare la riduzione del debito italiano. L’opzione di una fusione con Telecom è in un certo senso affascinante: in attesa di maggiori eventuali dettagli, crediamo che rappresenterebbe un’alternativa interessante per creare valore per il gruppo, nel caso in cui non si dovesse realizzare una più forte integrazione con Telefonica”, commentano gli analisti di Mediobanca Securities, che ricordano come in passato si fosse ipotizzato il passaggio dell’Ad di Poste Italiane, Massimo Sarmi, alla presidenza di Telecom.
Mediobanca Securities dedica poi un commento anche alla questione delle tariffe per l’Ull e alle considerazioni della Commissione Ue in merito alla fissazione dei prezzi da parte dell’Agcom a luglio scorso. Nel caso in cui il regolatore dovesse confermare le tariffe per MB l’impatto sui numeri di Telecom sarebbe limitato, dal momento che i nuovi prezzi sono già incorporati nelle stime.
“In attesa di maggior visibilità sulle tariffe 2014-2016, apprezzeremmo se il regolatore italiano aprisse un dibattito sulla necessità di uno spostamento del focus dai prezzi alla qualità della rete; questo approccio avrebbe sostenuto l’accelerazione nella rete Ngn, con un impatto positivo sul trend dei ricavi”, concludono gli analisti.
Tornando al piano di privatizzazione di Poste, secondo quanto si legge sul quotidiano romano, non riguarda la messa sul mercato di Bancoposta e Poste Vita, ma la quotazione probabilmente già il prossimo anno di tutto il gruppo. I conti della società sono in ordine (utile netto 2012 di 1 miliardi, ricavi per 24 miliardi) e per questo Palazzo Chigi sta pensando in grande e delineando i contorni di quella che potrebbe essere una maxi privatizzazione, una delle più rilevanti mai avviate. Il valore stimato di Poste sarebbe di circa 10-11 miliardi. Il Governo, continua il quotidiano, potrebbe anche decidere di mettere sul mercato la maggioranza assoluta del gruppo, come fatto in Gran Bretagna, proprio per rendere più contendibile la società, anche se punterebbe in ogni caso a conservare una sorta di diritto di veto sulle operazioni chiave.