“In fin dei conti non è nemmeno necessario che tutti gli operatori mirino a una dimensione internazionale. Telecom è un’azienda di primo piano nello scenario italiano, e questo è un ruolo già di per molto impegnativo”. A parlare è Massimiliano Trovato, Research Fellow dell’Istituto Bruno Leoni, che traccia la sua visione del momento dell’operatore Italiano a pochi giorni dall’uscita dalla corsa per l’acquisizione di Gvt in Brasile
Trovato, Vivendi ha scelto Telefonica per vendere Gvt. La “vittoria” degli spagnoli coincide con un fallimento strategico per la società capitanata da Patuano?
Non sari così drastico. In una situazione che Telecom Italia ha subito e non ha cercato, il management è stato coraggioso e ha fatto tutto quello che poteva fare per metter in piedi un’offerta concorrente che fosse appetibile per Vivendi. Ma si sa, quando metti sul piatto la carta invece dei solti parti da una posizione di svantaggio. Credo però che non si possa imputare nulla a Telecom e ai suoi dirigenti. La scelta di Telefonica era la più ovvia per Vivendi. E’ anche vero che c’era qualche buona sinergia da esplorare anche nell’offerta di Telecom, ma non è detto che le cose non possano ancora andare in quella direzione.
Torna in auge la vendita del Brasile, anche se Patuano ha detto più volte di non voler vendere Tim Brasil. Lei che idea si è fatto?
La vicenda Gvt ha dato una mossa la rialzo a tutto il mercato brasiliano: se si decidesse di vendere questo potrebbe essere un momento propizio. Vedo le valutazioni che girano in questi giorni e credo siano di tutto rispetto, partendo la presupposto che Telecom deve risolvere da anni un grave problema di debito. Una cessione di Tim Brasil oggi, quando il mercato brasiliano non tira come qualche anno fa, sarebbe un’opzione da valutare. Ma un conto sono le valutazioni che leggiamo sui giornali, e un altro conto sono le offerte. Se davvero arrivasse un’offerta da 13 miliardi credo sia obbligatorio rifletterci.
Ma detto questo, innanzitutto Telecom deve chiarirsi le idee su quello che vuol fare da grande: storicamente c’è in Telecom un deficit di strategia a lungo termine. L’azienda eredita dalla propria storia, prima da monopolista pubblico e poi dalle scalate più o meno fortunate, una storia di ingessature, di scarsa possibilità di adattarsi ai cambiamenti del mercato con la dovuta velocità, di scarsa possibilità di pianificare a lungo termine. Prima perché non c’era l’interesse, e poi perché non si sapeva nemmeno con certezza chi sarebbe stato l’ad o l’azionista di controllo da lì a un anno.
Per risollevare le sorti di Telecom si ritorna a parlare di scorporo della rete. È ancora una soluzione valida?
Siamo stati tra i primi in Italia a lanciare questo tema, su cui avevo scritto un paper nel 2006. Sono tuttora favorevole all’ipotesi, ma devo anche riconoscere che questa misura oggi non avrebbe più l’impatto sul mercato che avrebbe potuto avere 4 o 5 anni fa. E poi mi preoccupa l’eventuale ruolo del pubblico e di Cdp. Se lo scorporo della rete deve essere un modo per pagare metà dei debiti di Telecom e in più riportare sotto il controllo pubblico la rete, credo che sia una scelta sbagliata, un esborso eccessivo e per un risultato industriale che anziché aumentare la concorrenza rischierà di ingessarla.
E poi c’è il tema della certezza della regolamentazione. Durante gli ultimi mesi della passata commissione Ue era emerso l’orientamento della Kroes che secondo i critici andava nella direzione di favorire una rimonopolizzazione dei mercati. Non vorrei passare per ostile alla riduzione del peso della regolamentazione, ma credo che la regolamentazione in settori dominati da monopolisti aveva e ha una funzione ancora importante.
– Cosa potrebbe accadere con l’uscita di scena di Telefonica dal capitale e con lo scioglimento di Telco?
Intanto l’uscita di Telefonica come socio forte mi pare una notizia positiva. La logica industriale che pure ci poteva essere all’inizio non si è concretizzata, e anzi la presenza di Telefonica in Telecom ha portato grossi conflitti di interesse, e l’affare Gvt ne è una dimostrazione lampante. Buona notizia anche lo scioglimento di Telco, che di fatto era la dimostrazione plastica di tutto quello che non funziona nel capitalismo italiano, un’operazione di bandiera e di sistema del capitalismo relazionale, senza alcuna logica industriale né commerciale.
Ora c’è da capire cosa farà Vivendi, che avrà una quota del 6% o giù di lì: non è particolarmente “importante” ma in un azionariato frammentato come Telecom ha un certo rilievo. Credo che l’evoluzione che pare in atto verso un modello di public company può arrivare a raggiungere una chiarezza di idee e di strategie: sarebbe utile per eliminare l’incertezza del futuro e darebbe un mandato più forte al management.
Il caso Vivendi ha dimostrato l’interesse di Telecom per i contenuti. Si torna a parlare di alleanza Telecom-Mediaset. Può essere una chiave di rilancio?
Il presupposto che il mercato si sposti dal trasferire dati al fornire contenuti è una previsione verosimile. Ma si devono considerare due aspetti: quello regolamentale, e quello commerciale e industriale. Non è un mestiere che si improvvisa, né che si può continuare a fare nel modo in cui si è sempre fatto. Quello dei contenuti è un settore sottoposto a grandi pressioni innovative. Mediaset sta facendo uno sforzo importante per ammodernare la propria offerta, anche se non è l’operatore più innovativo che ci sia oggi sul mercato. Il punto vero, a prescindere da chi sarà l’alleato, è liberarsi dall’idea, se mai qualcuno l’avesse avuta, che sia possibile portare la televisione su Internet. I contenuti devono essere al passo con i tempi, e per questo c’è da prendere esempio dagli Ott.
Qual è a questo punto il futuro della società? E’ destinata a rimanere un “piccolo” player nazionale o ha ancora chance sullo scenario internazionale?
Oggi Telecom ha una presenza importante in Brasile, ma non è un operatore internazionale. E’ nazionale, con un’importante presenza in un altro Paese. Quel treno lì è passato, perché per fare shopping all’estero ci vuole una solidità finanziaria che Telecom non ha e difficilmente otterrà a breve, e perché il mercato internazionale è dominato da player che contano su ordini di grandezza totalmente diversi. Non è ragionevole per Telecom avere ambizioni di quel tipo, per quanto certamente i mercati in crescita non siano: in Africa o in Asia ad esempio c’è ancora molto spazio, ma ci sono già altri operatori e servirebbero investimenti.