E’ scontro tra i sindacati dei lavoratori della comunicazione e la multinazionale francese Teleperformance che ieri, al termine di un confronto a Roma, ha dichiarato la costituzione di nuove società per i call center di Taranto e Roma. Teleperformance motiva il provvedimento col fatto che i due call center sono in forte perdita. Il sindacato Slc Cgil parla di 2mila posti di lavoro a rischio. Per anni il call center di Teleperformance a Taranto – 1600 addetti a tempo indeterminato e 800 a progetto – è stato indicato come “isola felice” e portato ad esempio dai Governi oltreché dai sindacati. Attraverso i provvedimenti varati dall’allora ministro del Lavoro, Cesare Damiano, il call center di Taranto aveva infatti stabilizzato centinaia di addetti e introdotto i contratti a tempo indeterminato.
Se i call center vengono spesso indicati come emblema dell’occupazione precaria, quello di Teleperformance a Taranto costituiva la cosiddetta “altra faccia”. Poi, però è arrivata la crisi. Teleperformance ha fatto ricorso più volte agli ammortizzatori sociali, spesso ha anche annunciato il rischio di dover chiudere, sino all’annuncio fatto ieri ai sindacati: il destino dei tre call center presenti in Italia verrà separato. Taranto e Roma da una parte e Parco San Leonardo, a Fiumicino, dall’altra.
“Abbiamo parlato di societarizzazione ai sindacati, ovvero di trasformazione in società per azioni delle sedi di Taranto e Roma, seguendo un modello che nel nostro settore sta prendendo piede – spiega l’Ad di Teleperformance, Gabriele Piva – anche Telecom sta adottando un modello analogo. In sostanza, il business derivante dalle commesse internazionali resterà in capo alla corporate, il mercato italiano, invece, sarà dei call center di Taranto e Roma”. Due anni fa, per cercare di superare la crisi, Teleperformance e sindacati avevano sottoscritto un accordo che tagliava il costo del lavoro, accordo in scadenza a giugno, “ma quest’intervento – dice ora Piva – non è bastato. Abbiamo costi alti a fronte di una pressione sui prezzi e di quello che fanno i nostri competitori. Inoltre, il call center di Taranto, oltre ad avere perdite tra gli 8 e i 9 milioni di euro, soffre di una serie di rigidita’ che non possiamo più permetterci”.
“Dobbiamo andare verso una società più flessibile e con meno contratti a tempo indeterminato – precisa Piva – oggi, invece, se chiediamo ai nostri dipendenti di Taranto di lavorare più ore perché ci sono punte di lavoro, abbiamo risposte negative perché, evidentemente, il personale ritiene che questo maggiore impegno sia incompatibile con la propria organizzazione di vita personale e familiare. Così come registriamo la fuga dall’impegnarsi in una nuova commessa, su Taranto, che richiede sette giorni su sette di lavoro”.
“Non licenzieremo nessuno – afferma ancora Piva – i call center di Taranto e Roma restano nel petrimetro societario ma andranno incontro ad una ristrutturazione, inevitabile viste le cose”. Piva annuncia quindi che è stato sottoscritto con i sindacati un accordo per la mobilità volontaria con l’utilizzo della nuova Aspi. L’accesso resterà aperto sino ad agosto e l’azienda valuta l’esistenza di circa 400 esuberi.
E dunque l’azienda chiede ai sindacati di avviare nuove trattative per pervenire ad un nuovo accordo che aggiorni quello del 2013, “cercando insieme di identificare nuovi strumenti di flessibilità ed efficienza che consentano di proseguire nel progetto di rilancio della sede di Taranto”.
“La societarizzazione annunciata da Telepeformance – rileva a sua volta Andrea Lumino, segretario Slc Cgil di Taranto – porterà solo a due cose: chiusura dei call center e licenziamenti dei lavoratori. Le società saranno messe sul mercato, bisognerà vedere se ci sono degli acquirenti, e quali e con quali intenzioni, mentre i lavoratori, se riassunti, lo saranno con le nuove norme del Jobs Act perdendo i loro diritti e subendo un demansionamento. Una prospettiva che contrasteremo”. “Teleperformance è la seconda realtà lavorativa di Taranto dopo l’Ilva – sottolinea Lumino – se il call center chiudesse, ci sarebbe un impatto sociale devastante in una citta’ che vede gia’ i problemi, notevoli, dell’Ilva, dell’indotto siderurgico, del terminal container di Evergreen. Non possiamo quindi permetterci di perdere altri posti di lavoro e il Governo deve intervenire rapidamente”.
“Con la decisione di Transcom e Teleperformance di dividere le loro filiali italiane in più società, separando le commesse buone e redditizie da quelle più esposte agli effetti nefasti dell’assenza di regole negli appalti del mercato dei call center, si sta ufficializzando nei fatti l’uscita dal mercato italiano di due delle realtà più importanti nel business mondiale dei call center – evidenzia Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil – Aziende che nel mondo sono diventate “colossi” con decine di migliaia di dipendenti, decidono di arrendersi all’anarchia del mercato italiano che impedisce alle aziende strutturate e serie di operare rispettando le regole.”
“Questo è il frutto dell’immobilismo di un esecutivo che non vuole far rispettare una propria legge in materia di regolamentazione delle delocalizzazioni dei servizi di call center e di tutela dei dati sensibili dei cittadini (l’Art. 24 bis della Legge 134/12) – affonda il sindacalista – per la quale si sono sprecati gli annunci di esponenti del Governo e le risposte alle interrogazioni parlamentari che sono state smentite sistematicamente in quanto la legge non viene rispettata da nessuna azienda.”