Tra dazi e contro-dazi anche l’industria delle Tlc finisce col cadere sotto i colpi della trade war globale, visto che al centro della disputa finiscono le terre rare. La Cina, infatti, colpita dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump con tariffe addirittura del 145%, ha reagito presentando una causa in sede di Wto e introducendo una serie di contromisure tra cui il divieto di esportazione di 6 terre rare e altri materiali cruciali (come riportato dal New York Times), trascinando così negli impatti anche il settore tecnologie e dei servizi Tlc e digitali.
“Si tratta di terre rare pesanti, molto importanti per i settori automotive, della transizione ecologica (dai veicoli elettrici alle turbine eoliche), per le fibre ottiche delle Tlc, laser, radar e tanti altri ambiti della tecnologia”, sottolinea l’Avvocato Sara Armella, fondatrice dello studio Armella & Associati. “La decisione della Cina ha un effetto a cascata che, per la prima volta, interessa direttamente l’industria dei servizi e delle comunicazioni”.
Finora le Tlc sono state meno toccate dalla guerra commerciale scatenata dagli Stati Uniti fin dal primo mandato di Trump, perché i dazi hanno tassato soprattutto l’esportazione di beni verso gli Usa.
“Con la decisione di Pechino sulle terre rare, per la prima volta, le aziende tecnologiche e delle Tlc sono impattate da vicino. E non è escluso che seguano altre misure che colpiscono questi settori”, è il commento dell’Avvocato.
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La Cina blocca l’export sulle terre rare, impatto sulle Tlc
Come riportato dal NYTimes, il governo cinese ha ordinato la restrizione all’esportazione di sei metalli pesanti da terre rare, che vengono raffinati interamente in Cina, nonché di una serie di magneti che si fabbricano dalle terre rare, il 90% dei quali sono prodotti in Cina (che, nel campo delle terre rare, ha un dominio quasi assoluto). Ora l’esportazione di questi componenti può avvenire solo se si ottiene una speciale licenza.
“La guerra dei dazi del primo mandato di Trump riguardava più i beni tradizionali come acciaio e alluminio. Oggi potrà colpire Tlc, servizi, economia digitale e transizione energetica”, sottolinea l’Avv. Armella. “L’embargo cinese sulle terre rare, in particolare, fa salire il prezzo della fibra ottica e questo impatterà sulle telco e, a cascata, sui loro utenti“.

La posizione dell’Ue (che intanto ha multato due Big tech)
Anche l’Unione europea si sta interrogando su un’eventuale reazione ai dazi di Trump. Il presidente degli Stati Uniti ha concesso una sospensione di 90 giorni, ma non è detto che si arrivi a compromesso soddisfacente per entrambe le parti. L’Ue esporta molti beni tecnologici verso gli Usa, che hanno nei nostri confronti un disavanzo commerciale. Ma sui servizi la posizione è ribaltata, con gli Usa che detengono un solido vantaggio competitivo.
“Tutto il mondo delle piattaforme e dei social, ovvero tutto ciò che viaggia nel sistema delle comunicazioni, è dominato dagli Usa, che hanno nei confronti dell’Ue un surplus di 109 miliardi di euro l’anno”, evidenzia l’Avv. Armella. “L’Ue punta a reagire ai dazi di Trump colpendo proprio i servizi – per esempio, tassando le big tech o mettendo in atto strumenti che limitano l’accesso alle piattaforme in base al Regolamento anti-coercizione”.
Si tratterebbe di un rimedio estremo, perché fa ricorso a una legge che aiuta l’Europa a colpire un Paese che si comporta aggressivamente sul piano economico e commerciale. Nell’ipotesi in cui venisse fatto valore il Regolamento anti-coercizione, verrebbero alzate delle barriere sui servizi delle piattaforme digitali, con un fortissimo impatto per i big Usa, ma anche per gli utenti europei che avrebbero un accesso ristretto a servizi ormai entrati nella quotidianità.
Il braccio di ferro Usa-Cina, che al momento sembra irriducibile, costringerà l’Europa a una scelta di campo. Intanto una risposta all’aggressività di Trump è arrivata: l’Unione europea ha multato Apple e Meta (rispettivamente per 500 milioni e 200 milioni di euro) per violazioni del Digital markets act.
Lo scenario è incerto, occorre studiare e mitigare il rischio
Di fronte al blocco dell’export delle terre rare dalla Cina, le aziende delle Tlc e degli altri settori impattati dovranno imparare a gestire e arginare gli effetti di uno scenario incerto.
“Non posso prevedere le prossime evoluzioni, ma, a tendere, un’a ‘eventuale escalation potrebbe far salire i rischi, anche per le telco”, ci ha detto l’Avv. Armella. “Perciò la prima risposta che oggi queste aziende sono chiamate a dare è acquisire piena consapevolezza di questo scenario instabile, stimare le ripercussioni e adottare misure di mitigazione”,
Le aziende che oggi hanno filiali in Cina potranno fare le loro valutazioni; per esempio, Apple ha annunciato di voler costituire un centro di produzione negli Usa e abbandonare i fornitori cinesi. Per le imprese europee investire negli Usa è un’opzione se si ha già una presenza nel Paese: installarsi ex novo non è facile e non è detto che sia produttivo o conveniente, osserva Armella. Potrebbe, invece, accadere che le aziende riportino in Ue attività produttive prima esternalizzate in Cina e nel Sud-Est asiatico, e questo può essere un elemento per trasferire valore e investimenti in Europa.
“La tendenza al reshoring già esisteva da dopo il Covid per proteggere le catene produttive e ottenere maggiore affidabilità e resistenza contro fattori esogeni, nonché per proteggere know-how e proprietà intellettuale”, osserva Armella. “C’è anche il Piano Mattei del Governo italiano, che prevede investimenti in Africa, e le nostre aziende potrebbero trovare opportunità, telco incluse. Ma il panorama è in forte divenire e il mio primo consiglio è di tenere sotto controllo l’attualità, perché le relazioni economiche cambiano continuamente e velocemente e non c’è modo di sfuggire a queste dinamiche”.
In questo scenario, le aziende con margini di guadagno sottili sono le più a rischio: per questo le telco sono toccate da vicino e hanno bisogno quanto mai di studiare il presente e cercare una diversificazione che attutisce gli impatti.