Telefonica sta passando in rassegna le opzioni a disposizione per sottrarsi all’impasse legato a Tim Brasil. Le ultime indiscrezioni brasiliane sostengono che ora in manovra sulla società carioca controllata da Telecom Italia ci sia Carlos Slim in persona, che starebbe valutando l’opportunità di un’offerta.
L’obiettivo finale, scrive Milano Finanza, sarebbe sempre quello dello spezzatino, con una parte delle attività che finirebbe a Claro, operatore che fa capo al magnate messicano, agli altri concorrenti, ossia Vivo (Telefonica) e Oi. Da San Paolo arrivano le conferme che le simulazioni e i dossier sono sul tavolo. Ma dire che l’offerta arriverà davvero è affare più complesso.
Il fulcro di tutto è sempre Telefonica, che non gradirebbe di lasciare il pallino dell’operazione in mano al rivale Slim e che quindi potrebbe opporsi all’operazione. Gli spagnoli controllano Vivo ma al contempo sono i principali azionisti di Telco, holding che detiene il 22,4% di Telecom, che a sua volta controlla il 67% di Tim Participacoes attraverso Tim Brasil.
Alla fine dello scorso agosto, la quota di mercato di Vivo era del 28,7%, quella di Tim del 27,2% e a seguire c’erano Claro (25%) e Oi (18,6%). In sostanza, per l’Antitrust brasiliano il gruppo guidato da Cesar Alierta avrebbe un’influenza rilevante sui due principali operatori mobili del Paese sudamericano. Gli spagnoli in teoria avrebbero 18 mesi per risolvere la situazione, in realtà molti meno tempo perché l’ultima assemblea ha messo in evidenza che il mercato ad aprile, alla scadenza naturale dell’attuale Cda, potrebbe bocciare le proposte di Telco, come già fatto a dicembre quando non sono passate le nomine di due consiglieri indicati dalla holding. I tempi per trovare una soluzione sono quindi strettissimi.
Per Carlos Slim, si tratterebbe di un “ritorno di fiamma”, poiché il manager era entrato in partita quando Marco Tronchetti Provera trattava per cedere la quota di maggioranza relativa, detenuta da Olimpia, poi rilevata, previo intervento del governo guidato da Romano Prodi (come raccontò in assemblea il presidente delle Generali Antoine Bernheim, oggi scomparso, “contattato” telefonicamente dall’allora ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, anch’egli scomparso), da una coalizione italospagnola riunita nella Telco, primo socio di Telecom.
Dell’interesse di America Movil si era tornati a parlare anche alla vigilia della salita di Telefonica in Telco. Nei primi giorni di settembre 2012, la stampa riportava di un possibile focus, poi smentito, dal Cfo di America Movil Carlos Garcia Moreno.
Intanto Blackrock formalizza a Sec la propria quota in Telecom: il 10,12% comprensivo del convertendo. Mentre il faro Consob resta acceso, anche dopo l’assemblea del 20 dicembre. Ma il voto “spacchettato” di Blackrock non è, di per sé, un’anomalia anzi può essere fisiologico per i grandi fondi che operano con diverse filiali. Come stabilito dalla disciplina americana in materia il fondo statunitense fa il suo e comunica il proprio arrotondamento nel gruppo. Una partecipazione, quella di Blackrock, già nota a Consob e al mercato stesso. Il fondo, su sollecitazione, già a metà dicembre aveva infatti informato delle variazioni la Commissione guidata da Giuseppe Vegas. Ora la comunicazione alla Sec è un ulteriore e atteso passo.
Ma la Consob continua a vigilare – già in assemblea erano presenti due osservatori della Commissione – con i riflettori che restano ben accesi per verificare eventuali anomalie. E, sempre aperta, resta la pista di indagine su un eventuale “concerto” tra i fondi americani e Telefonica. Nelle grandi firme però, va ricordato che il voto spacchettato, come quello che Blackrock ha applicato nell’assemblea sulla revoca del cda (mozione che non è passata), è abbastanza usuale. I fondi Blackrock, nel caso specifico, non si sono presentati con tutta la loro “potenza di fuoco” ma avevano depositato il 5,94% e poi hanno votato in maniera differente: alcuni astenendosi e alcuni votando a favore della mozione presentata da Findim, la finanziaria di Marco Fossati che chiedeva appunto la revoca del consiglio.
E proprio Fossati è tornato a pungolare il vertice di Telecom. Il finanziere dalle colonne del Messaggero ha ancora incalzato: ”Telecom deve cambiare governance. E deve farlo subito, prendendo atto che gli equilibri sono mutati e che serve un assetto diverso, più aperto e rivolto al mercato”.
Per questo, rivolgendosi all’ad Marco Patuano in vista del cda del prossimo 16 gennaio sottolinea: ”crediamo e siamo fiduciosi che il management abbia recepito questo messaggio e dia seguito alla richiesta dei propri azionisti”. E tema caldo resta anche Tim-Brasil di cui Fossati ribadisce la strategicità: ”Privarsene anche a valori elevati – afferma – limiterebbe le ambizioni e i parametri per il rilancio di Telecom Italia. Il finanziere ha peraltro preparato una contro-valutazione dell’asset i cui conti si aggirano intorno ai 20 miliardi di euro. Inoltre, evidenzia il manager in un’intervista al Messaggero, ”Telecom deve cambiare governance. E deve farlo subito, prendendo atto che gli equilibri sono mutati e che serve un assetto diverso, più aperto e rivolto al mercato”.
Fossati sottolinea che con il voto dell’assemblea del 20 dicembre, ”escludendo il nocciolo di Telco e il voto frazionato di Blackrock, il mercato ha votato compatto per la revoca del consiglio di amministrazione. E adesso il mercato si attende una modifica sostanziale della governance”. In tal senso il finanziarie aggiunge: ”crediamo e siamo fiduciosi che il management abbia recepito questo messaggio e dia seguito alla richiesta dei propri azionisti”. Per Fossati ”serve un nuovo assetto che assicuri la massima indipendenza ai manager per poter proporre nuove strategie di sviluppo senza alcuna influenza esterna”. Poi su Tim Brasil Fossati ribadisce che “è un asset strategico e non sostituibile”. Privarsene anche a valori elevati – afferma – limiterebbe le ambizioni e i parametri per il rilancio di Telecom Italia.
Findim invierà al Cda del 16 gennaio il documento sul valore di mercato di Tim Brasil – 18-20 miliardi – nonché la proposta di valutare le proposte di offeta sulla controllata carioca. La proposta arriverebbe dai consiglieri indipendenti e se passerà dovrebbe condurre alla costituzione di un comitato ristretto sempre composto da consiglieri indipendenti per valutare eventuali offerte: solo con un disco verde di massima di questo comitato l’eventuale cessione di Tim Brasil arriverebbe sul tavolo del board.
A chiedere un cambio di statuto Asati. “In riferimento all’alta affluenza dei soci nella scorsa assemblea del 20 dicembre con una presenza del capitale prossima al 54% e che ha visto una minoranza pari al 23% votare in maniera difforme da una maggioranza del 27% per la revoca e un 4% di astenuti – si legge in una nota dell’associazione – si è reso evidente come sia matura e ormai indispensabile l’abolizione della norma dello statuto sociale che attribuisce alla lista di maggioranza i 4/5 dei consiglieri e che si renda necessario una modalità di elezione del consiglio di amministrazione più idonea a rappresentare all’interno dello stesso le minoranze”.
Asati ha inviato al Consiglio di Amministrazione di TI, al Collegio Sindacale e alla Consob, una proposta di modifica dello statuto con l’abolizione della norma dei 4/5 a favore di un meccanismo di attribuzione dei seggi basato sulla ripartizione proporzionale (metodo d’Hondt). I piccoli azionisti auspicano “che l’attuale Cda ridotto a 11 Consiglieri, in piena consapevolezza della volontà di cambiamento espressa dagli azionisti di minoranza che rappresentano la maggioranza del capitale di TI, affronti il tema del cambiamento dello statuto fin dal prossima riunione del Consiglio prevista il 16 gennaio”.
“Qualora si dovesse decidere invece di svolgere il tutto in una unica assemblea – prosegue Asati – richiede formalmente che la convocazione della stessa non sia ridottaai canonici limiti di legge,cioè minimo 40 giorni, ma lanuova Assemblea di Bilancio e nomina del nuovo Consiglio avvenga con ampio preavviso almeno di 60 giorni in modo da non dare adito a possibili strumentalizzazioni tese ad interpretare la convocazione neilimiti minimi di legge come un modo per rendere difficoltosa l’organizzazione delle minoranze e facilitare l’attuale socio di maggioranza”.