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Tim: un fondo al posto di Vivendi? L’operazione vale quasi 1 miliardo



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Secondo indiscrezioni l’ipotesi di rilevare la quota del 23,7% in capo ai francesi sarebbe sul tavolo di Cvc, Apax e Bain Capital. Notizia che ha fatto balzare il titolo. Intanto in Manovra salta l’emendamento sulla “tassa” per accelerare la migrazione dal rame alla fibra

Pubblicato il 17 dic 2024



merger, acquisizione, takeover

Il fondo Cvc Capital Partners starebbe valutando di rilevare la quota di Vivendi in Tim, alias il 23,7% per un controvalore stimato in circa 1 miliardo. E fra gli interessati ci sarebbero anche Apax e Bain Capital. Le parti in causa non commentano ma che Vivendi debba prendere una decisione in merito alla sua partecipazione non è un mistero. E il ceo Arnaud De Puyfontaine aveva già annunciato diversi mesi fa al mercato che “nel 2025 si scriverà un nuovo capitolo senza Tim”.

Le ipotesi sul tavolo

La quota di Vivendi è inferiore alla soglia che farebbe scattare l’obbligo di Opa ma la rilevanza strategica degli asset di Tim, come la rete 5G, Telsy e i data center, richiede necessariamente un confronto con il Governo. “Tuttavia, l’allineamento con Cdp (secondo azionista in Tim con circa il 10%) potrebbe facilitare un esito positivo, soprattutto se Cvc o Bain non saranno percepiti come attori ostili- evidenziano gli analisti di Intermonte -. Va sottolineato che Cvc mantiene solidi rapporti con Cdp, consolidati attraverso la loro partecipazione congiunta in MaticMind (70% Cvc, 15% Cdp Equity e 15% Saladino), elemento che potrebbe favorire un allineamento strategico nell’operazione”.

Secondo Intermonte l’interesse di Cvc “è coerente con il suo precedente tentativo di acquisire Tim Enterprise (nel 2022 aveva offerto circa 6 miliardi per l’asset) e con la quota di controllo in un peer chiave come MaticMind. Bain Capital, con il 50% di Engineering, rappresenta un altro attore con competenze e presenza rilevanti nel settore Ict italiano. Questa competizione potrebbe spingere verso un’offerta più vantaggiosa, accelerando l’uscita di Vivendi e sbloccando valore per Tim”.

Il nodo principale resta però la distanza tra le richieste di Vivendi, che punterebbe a incassare almeno 1,5 miliardi “Tuttavia, un eventuale accordo potrebbe essere facilitato dalla possibilità di realizzare sinergie industriali e operative significative, soprattutto legate al riassetto di Tim Enterprise (possibile combinazione con MaticMind o altri player), ma anche al possibile consolidamento di Tim Consumer”. Infine secondo Intermonte l’uscita di Vivendi “potrebbe sbloccare finalmente iniziative chiave di valorizzazione, come la conversione o il buyback delle azioni di risparmio, oltre allo spin-off o alla monetizzazione di asset non core. Un nuovo azionista stabile e strategico migliorerebbe inoltre la governance, eliminando le frizioni storiche che hanno pesato sulla valutazione del titolo”.

Il nuovo corso di Vivendi

In merito al nuovo “capitolo” nei giorni scorsi gli azionisti della società francese hanno approvato con un’ampia maggioranza il progetto di scissione in quattro entità. Canal+ debutta alla Borsa di Londra, Havas a quella di Amsterdam e Hachette a Parigi, città dove resta quotata anche la holding Vivendi. “Il punto di partenza dell’operazione (annunciata un anno fa, ndr), era l’andamento del titolo Vivendi in Borsa che non rifletteva il vero valore del patrimonio”, ha detto Yannick Bolloré, figlio di Vincent Bolloré e presidente del consiglio di sorveglianza. “Questo progetto è nell’interesse di tutti gli azionisti”.

Tim, Siragusa vende 800mila azioni

Stefano Siragusa, ex Chief network operations & Wholesale officer di Tim, ha venduto 800mila azioni del gruppo Tlc, di cui è membro del Consiglio di amministrazione. Per Siragusa, che la scorsa primavera assieme al fondo Merlyn Partners ha sostenuto una lista alternativa a quella vincente presentata dal Cda uscente che ha portato alla riconferma dell’AD Pietro Labriola, l’incasso è di circa 200mila euro, con un prezzo di 0,26 euro per azione.

​​​​​Manovra 2025, salta la “tassa” sul rame

È stato ritirato l’emendamento presentato da Fratelli d’Italia alla Legge di Bilancio 2025, che puntava al rincaro delle tariffe dell’Adsl per poi utilizzare i proventi per sostenere i costi degli operatori per accelerare sull’Ftth. La proposta prevedeva un incremento dei prezzi del 10% a partire dal 1° gennaio 2025 per tutti i servizi in rame nonché l’istituzione di un fondo per lo switch off al fine di contribuire al sostenimento degli oneri di tutti gli operatori per la migrazione degli utenti verso le reti a banda ultralarga ad altissima capacità.

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