Due società distinte, una per la rete (NetCo) e una per i servizi (ServiceCo). Ma non una di serie A e l’altra di serie B. E nessuna operazione fatta per salvare le risorse “pregiate” e sacrificare le altre, quei famosi 15mila (su o giù di lì) sui cui pende il rischio licenziamento da anni. Pietro Labriola, neo numero uno di Tim ha in testa un piano preciso (le linee guida della strategia industriale 2022-2024, che sarà presentata il prossimo 2 marzo, sono state presentate ieri al Cda). E per la prima volta da anni l’azionista numero uno dell’azienda, Vivendi, ha deciso di svolgere un ruolo ben più “proattivo” per portare a casa risultati concreti in termini di remunerazione dell’investimento fatto a suo tempo e dare un senso alla presenza nella telco italiana, ossia porre le basi concrete per la creazione di un player paneuropeo.
Il valore del titolo è a minimi storici e il disastro dei conti è sotto gli occhi di tutti: tre profit warning consecutivi nel giro di pochi mesi sono davvero troppi. Il mercato italiano delle Tlc è quello che è: ultra competitivo, soffocato da un’imperterrita guerra dei prezzi che non ha premiato neanche sul fronte della risposta dei consumatori, sempre più insoddisfatti della qualità dei servizi fissi e mobili e stanchi di essere bombardati dalle chiamate di call center a fini promozionali ma lasciati spesso e volentieri da soli in caso di disservizi e malfunzionamenti. Labriola ha ben chiara la situazione. E non a caso nella lettera ai dipendenti ci ha tenuto a ricordare che sua madre era operatrice di call center, di voler ripartire proprio dalla parte “bassa” della catena per non lasciare nessuno indietro e soprattutto per ricreare un clima di fiducia e dare nuova speranza e nuova linfa all’azienda. Nessuno indietro, nessuno fuori? Su questo punto i sindacati si dicono scettici: troppe le promesse fatte dai manager che si sono succeduti al timone finite puntualmente per sfilacciarsi nelle guerre fra azionisti e fazioni. E il piano di scorporo della rete ha fatto scattare l’allarme rosso: siamo sicuri – è questa la domanda dei sindacati – che dividere Tim in più società non rischi di mettere in moto quella macchina della riorganizzazione che in soldoni si traduce in “snellimento” della forza lavoro? I sindacati però dovrebbero porsi un’altra domanda, forse la più importante, prima di avviare inutili ed estenuanti battaglie che non portano a niente: siamo sicuri che Tim sia in grado di reggere senza uno scossone e quindi senza che si proceda, una volta per tutte, ad un riassetto? Ci si augura, dunque, di non assistere ad arrocchi ideologici né a battaglie vuote di proposte. Da parte dei sindacati ma anche e soprattutto delle forze politiche, che si fanno all’occorrenza paladine dei lavoratori per poi voltare le spalle quando è necessario intervenire davvero.
Un’ultima considerazione sul dossier Kkr: il fondo americano sta passando quasi per un “nemico” di Tim, uno “scalatore” a cui bisogna contrapporre un piano che eviti l’Opa, dimenticandosi che detiene il 37,5% di Fibercop, la wholesale company creata proprio per il famoso piano di rete unica da farsi con Open Fiber. E dimenticandosi anche che il fondo si è reso disponibile, sin dall’inizio della sua entrata in scena, a salire ulteriormente in quota, a mettere sul piatto risorse fresche e, non ultimo, persino a salire alla maggioranza di Tim con tutti i rischi del caso visto il debito monstre e i tempi lunghi per portare a casa qualsivoglia operazione fra benestare delle autorità italiane, europee, governo (non dimentichiamoci il Golden Power), sindacati eccetera eccetera. Ma anche in questo caso Labriola ha ben chiara la questione: un accordo con gli americani di Kkr va fatto, così come con gli altri fondi interessati a entrare nella partita della rete la cui regia sarà affidata a Cassa depositi e prestiti. Più investitori ci saranno, più le banche saranno disposte a sottoscrivere linee di credito, più si accelererà sui piani. E i piani di Labriola sono in linea con le priorità strategiche delineate nel Pnrr: digital transformation del Paese (e qui si inserisce il ruolo di ServiceCo) e massiccia infrastrutturazione a banda ultralarga (e qui giocherà la sua partita NetCo). Sulla carta dunque ci siamo.