Vivendi punterebbe a un massimo di 8mila dipendenti in ServiceCo: è quanto emerge da indiscrezioni stampa. La questione occupazione avrà un peso rilevante nell’ambito delle trattative. Il Governo ha dato l’ok alla discesa in campo del ministero dell’Economia in qualità di azionista della rete e il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato che la direzione intrapresa dal Governo è quella di “assumere il controllo strategico della rete di telecomunicazioni e salvaguardare i posti di lavoro”.
I posti di lavoro in ballo
Ma quanti posti di lavoro saranno davvero salvaguardati a seguito dello scorporo Tim e della creazione di Netco e ServiceCo?
All’indomani dell’approvazione del decreto legge gli analisti di Intermonte fanno notare che il paventato tetto degli 8mila dipendenti in ServiceCo “è una richiesta ci sembra oggi poco accoglibile a meno di un radicale riassetto occupazionale. Ricordiamo infatti, che il piano delayering di Tim prevede sulla ServiceCo domestica restino circa 19mila dipendenti destinati a scendere a circa 17mila nel 2025-26, più del doppio degli 8mila chiesti da Vivendi”. Gli analisti non escludono che “la stessa NetCo possa assorbire gran parte del personale eccedente qualora dovesse esserle riconosciuto un regime regolatorio più favorevole in grado di remunerare i costi per le attività di costruzione, gestione e manutenzione della rete che verosimilmente richiederanno un maggior effort anche di personale”. E a tal proposito “vedremmo con favore l’applicazione di un paradigma vincente simile a quello adottato per Terna con la realizzazione di un operatore unico quotato a controllo statale (merger di Netco con Open Fiber e successivo Ipo) che in futuro potrebbe beneficiare di una regolamentazione Rab simile a quella adottata per le utilities, rendendo ancora più interessante la exit futura per Kkr”.
I sindacati non mollano la presa
“Il percorso sarà ancora lungo e accidentato, ma quel che è certo è che oggi il Governo esprime di fatto il proprio gradimento alla separazione tra infrastruttura e servizi, una scelta che ci allontana inevitabilmente dal resto dell’Europa, a partire da Francia e Germania che continuano a difendere i loro ex monopoli oggi trasformati in campioni nazionali – evidenzia Fabrizio Solari, Segretario Generale Slc Cgil-. Anche in questo settore, come già avvenuto in altri casi, l’Italia non avrà voce in capitolo nel probabile, quanto auspicabile consolidamento dell’industria delle telecomunicazioni a livello continentale. Il sindacato, nel ribadire le proprie ragioni, non potrà fare altro che stare dentro i processi in atto per contrattare le condizioni di lavoro, difendere l’occupazione e battersi per non disperdere le residue prospettive industriali del settore”.
“La premier Meloni ha sottolineato l’importanza di salvare i posti di lavori, noi come Fistel Cisl ribadiamo che la separazione della rete dai servizi rischia di creare condizioni di maggiori tutela per alcuni e meno per altri. Riteniamo per questo che il Governo si debba porre come obiettivo il destino dei 15.000 lavoratori dei servizi e delle scelte industriali che ne tutelano il futuro, anche pensando ad una partecipazione nei servizi di aziende pubbliche con analoghi business”, dichiara il sindacato in una nota nel ribadire che “attendiamo la convocazione dai Ministeri competenti”.
Resta durissima la posizione della Uilcom Uil: “Confermiamo tutta la nostra contrarietà ad un progetto che non ha nulla di industriale per il nostro Paese e per questa azienda.. Questa scelta non risolve i dannosi problemi di tutta la filiera anzi, rischia seriamente di peggiorare una situazione di forte difficoltà che versa il settore delle telecomunicazioni. – evidenzia il Segretario Salvo Ugliarolo nel ribadire che “ad oggi malgrado le ripetute richieste di incontro, inviate a Palazzo Chigi per entrare nel merito e potere rappresentare la nostra visione su Tim e su tutto il settore – abbiamo ricevuto soltanto un imbarazzante silenzio da parte del Governo Meloni. Riteniamo che si debba arrivare, urgentemente, ad un vero confronto per capire realmente se qualcuno, oltre noi, si è posto il problema dei livelli occupazionali per l’altro pezzo dell’azienda restante. Ad oggi, in assenza di reali soluzioni, questa scelta non farà altro che creare una vera “bomba sociale”.
Il Pd: “Fare chiarezza sull’operazione”
“L’operazione su Tim che il governo Meloni ha avallato è un caso unico tra i grandi Paesi europei: la rete di telecomunicazioni – un asset strategico per il Paese – verrà separata dai servizi e privatizzata, finendo sotto il controllo a larga maggioranza del fondo privato americano Kkr. Lo Stato entrerà, ma con una quota di minoranza. Quanto al resto, dobbiamo accontentarci di annunci vaghi e generici”. Così in una nota i senatori del Pd Antonio Misiani e Antonio Nicita. “Il fatidico ‘piano Minerva’ che il Governo aveva annunciato e che avrebbe dovuto portare ad una riunione e valorizzazione delle diverse reti esistenti è scomparso dai radar in favore di una privatizzazione il cui senso industriale non si comprende e che rischia di depauperare il valore delle reti. Al tempo stesso vengono annunciati oltre 2 miliardi di fondi, di cui 1,2 a valere del Pnrr, parcellizzati in mille rivoli e senza efficacia. Il Partito democratico chiederà alla presidente Meloni e al ministro Giorgetti di venire al più presto in Parlamento a riferire in merito al futuro di Tim e della rete. Vogliamo capire tutti i termini del memorandum, con particolare riferimento alle garanzie sul controllo strategico, la tutela dell’occupazione, gli investimenti, il trattamento dei dati e altri aspetti di grande importanza e delicatezza. Elementi che, ad oggi, sono tutti da verificare prima di esprimere un giudizio compiuto su questa operazione”.