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Weekend di fuoco in casa Tim. Ad appena 10 giorni dal cda straordinario convocato dai francesi di Vivendi è stato convocato un altro board, anch’esso straordinario, per il pomeriggio di oggi dopo che ieri è stato fissato un board fissato per il 26 novembre.
Due le missive inviate al presidente Salvatore Rossi: una da parte di 11 consiglieri (al netto dell’indipendente Paola Bonomi e del presidente di Cdp, Giovanni Gorno Tempini) che evidenziano “sfiducia e preoccupazione per lo stato di deterioramento dei conti” e l’altra a firma del collegio sindacale dai toni altrettanto allarmistici. Notizie che hanno immediatamente suscitato la reazione dei sindacati: inviata al ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti l’ennesima richiesta unitaria di incontro urgente da parte delle Segreterie nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil in cui si denuncia “il rischio di migliaia di esuberi e la tenuta di tutto il settore delle Tlc”. Immediata anche la reazione politica: lunga la lista dei commenti a caldo incentrati proprio sulla questione di eventuali esuberi, “parliamo di circa 40mila posti di lavoro a rischio”, dice il senatore e membro della Commissione Lavori Pubblici, Bruno Astorre. E hanno espresso preoccuazione, fra gli altri, il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti e il vicepresidente del gruppo Pd alla Camera, Roberto Morassut. “Il Parlamento non può rimanere a guardare”, ha detto il deputato di Leu Stefano Fassina chiedendo un’audizione al Governo.
Non è bastato dunque l’incontro di una settimana fa a placare gli animi e a garantire la piena fiducia all’Ad Luigi Gubitosi in vista della preparazione del nuovo Piano strategico 2022-2024 la cui approvazione è prevista nella riunione del Consiglio del prossimo febbraio. La fin troppo scarna nota emessa a seguito del cda dell’11 novembre, il silenzio di Vivendi e della stessa azienda, hanno lasciato la netta sensazione di un vulcano in ebollizione prossimo all’esplosione.
E quel riferimento al “difficile contesto di mercato” si presta oggi – col senno di poi e alla luce della nuova convocazione – ad una lettura che va oltre le righe. Le Tlc stanno attraversando una fase complessa e difficile oramai da anni, si è fatto invece più complesso e difficile – in particolare dal passaggio del Governo Conte a quello Draghi – il “contesto” di Tim. Il pantano in cui è finito il progetto della rete unica non è cosa da poco per un’azienda che su quel progetto ha basato le fondamenta del nuovo corso. E i rumors sulle mosse dei fondi – in particolare dell’americano Kkr già in quota Fibercop con il 37,5% – sta tenendo banco da giorni pure se Tim a seguito del cda dei giorni scorsi ha puntualizzato che “non è in corso alcuna negoziazione relativa alla rete o altri asset strategici”. Ad aggiungere carne al fuoco ci si è messa pure l’operazione Dazn: i risultati non si stanno dimostrando in linea con le aspettative dell’accordo milionario su cui Tim ha scommesso. E l’impossibilità, da parte di Dazn, di procedere con quell’imminente cambio di passo relativamente alle modalità contrattuali con gli utenti – che avrebbe potuto favorire maggiori introiti stringendo le maglie dell’uso dei dispositivi – rimanda alla prossima stagione calcistica l’opzione “recupero”.
Intanto è convocata per il 25 novembre la presentazione del piano strategico 2022-2024 di Cassa depositi e prestiti, più che un convitato di pietra nella storia presente e soprattutto futura della telco. Un piano strategico da cui si capirà quale ruolo giocherà la Cassa nella partita delle reti di Tlc considerato il suo 60% in Open Fiber al fianco del fondo Macquaire con il 40% e la sua presenza in casa Tim di cui è secondo azionista con il 9,81% (dopo i francesi di Vivendi che detengono il 23,75%).