“Il caso Tim-Cdp serve a far capire al mercato che lo Stato è vigile sugli asset strategici del Paese, che devono essere salvaguardati da incursioni di investitori stranieri che hanno obiettivi troppo distanti dal bene nazionale”. Questo il commento di Vincenzo Sanasi d’Arpe, tra i massimi esperti di gestione delle crisi d’impresa, presidente per l’Italia dell’agenzia Onu World Food Programme, nonché fautore delle politiche economiche keynesiane, a seguito dell’esito dell’Assemblea Tim del 4 maggio che ha visto la vittoria schiacciante del Fondo Elliott su Vivendi grazie all’appoggio della Cassa Depositi e Prestiti.
“L’intervento di un investitore pubblico come Cdp in Tim non è da leggere come un soccorso al fondo Elliott, investitore privato che ha ruolo e caratteristiche distinte da Cdp bensì come un intervento di ausilio alla stabilità e all’impulso industriale, che può favorire la crescita economica del Paese senza la necessità di stravolgere gli assetti aziendali”. Secondo Sanasi D’Arpe l’intervento era necessario per rimediare al ridimensionamento del settore Tlc in Italia “che deriva proprio dall’aver messo nelle sole mani private la gestione dell’ex campione nazionale”.
“Una presenza pubblica, con interventi significativi nei settori strategici come quello delle infrastrutture potrebbe dare un nuovo impulso a quegli investimenti necessari per rilanciare la ripresa”. “Si tratta – aggiunge – di aggiornare la funzione economico-sociale dello Stato per creare un argine a possibili default, spesso influenzati da fattori esterni, di adottare una visione keynesiana dello Stato, che deve sostenere i consumi e gli investimenti”. In questo senso, “la discesa in campo di Cdp è dunque senz’altro una notizia positiva, uno spunto di riflessione per il futuro prossimo, anche in quanto potrebbe accelerare una fusione con Open Fiber per la creazione di un campione nazionale della rete”.