90 miliardi euro. Una cifra astronomica. Pari a circa un quarto del Pil del Belgio, se la si vuole riferire ad un concreto termine di paragone. Tanto pesa su multinazionali e mega-corporation l’elevato grado di frammentazione del mercato telecom europeo. La stima è il vero piatto forte di un studio presentato in settimana al Parlamento europeo. Realizzato dalla società di consulenza Wik Consult, e promosso in tandem da Ecta (European Competitive Telecommunications Associations) e Intug (International Telecommunications User Group), il rapporto fotografa sfide e difficoltà cui sono confrontate le grandi aziende con attività sparpagliate su più stati membri dell’Ue nell’usufruire di servizi di comunicazione elettronica.
Per quel che concerne questo particolare ambito, quasi il 70% delle società sondate dallo studio lamenta problemi e inconvenienti dovuti alle perduranti differenze (e spesso divergenze) regolamentari da stato a stato. Laddove, infatti, esse preferirebbero poter acquistare da un unico fornitore servizi telecom che coprano l’intera gamma delle proprie attività transnazionali, di fatto ammettono che questa opzione nella maggior parte dei casi non è praticabile. In barba alla necessità di disporre di prestazioni ad hoc di alta qualità, possibilmente a partire da un unico “one-stop-shop”.
Di qui i citati (e sproporzionati) costi. Che indirettamente si riflettono sulla produttività e più in generale sulla stessa economia europea. Non a caso il rapporto parla di un “potenziale inespresso” che potrebbe essere liberato se solo si procedesse ad unificare il mercato dei servizi di comunicazione elettronica offerti ai grandi business. La filosofia sottintesa è, del resto, in linea con le priorità cavalcate dal commissario all’Agenda Digitale. Il completamento del mercato unico digitale, a maggior ragione nell’ambito esplorato dal rapporto, potrebbe infatti dischiudere enormi benefici al momento frenati da un quadro politico irregolare e polverizzato. Anche perché le multinazionali prese in esame “sebbene rappresentino appena il 2% delle società attive sul continente europeo – nota lo studio – formano una componente ragguardevole della sua economia, generando oltre 60 milioni di posti lavoro”.
“E’ increscioso che a causa dell’assenza di concorrenza sul piano nazionale, solo un piccolo numero di fornitori possa proporre soluzioni che combinino un’autentica connettività globale con le specifiche tecniche richieste”, sostiene il presidente dell’Intug Danielle Jacobs.
“Il mercato residenziale e professionale differiscono fortemente e necessiterebbero di regolamentazione separata”, aggiunge. Come dire: se l’orizzonte di un autentico mercato unico europeo delle tlc, in cui i grandi operatori competano l’un con l’altro, è ancora lontano nello spazio e nel tempo, si può cominciare a conferire una dimensione europea per lo meno a una delle sue nicchie più importanti, quella dei servizi offerti alle grandi aziende.
In tal senso, suggerisce lo studio, la Commissione europea potrebbe e dovrebbe mettere a punto un pacchetto regolamentare di concerto con le Authority nazionali.
A chiederlo sono le stesse aziende, la maggior parte delle quali, come detto, desidererebbe poter trattare con un singolo operatore in più paesi. E, fatto rilevante, vorrebbe disporre di più scelta nella selezione dei servizi, laddove questa opportunità è sovente ridotta nei singoli contesti nazionali. L’idea dei promotori del rapporto è dunque di inserire questa priorità tra gli obiettivi dell’Agenda Digitale europea. Il Parlamento europeo sembra appoggiare il proposito. E attende al varco un cenno in tal senso da parte la della Commissione.