L'INTERVISTA

Tlc, l’affondo di Nicita: “Dossier Tim non risolve problemi del settore”

Il vice presidente dei senatori Pd, ex Commissario Agcom, punta il dito contro la decisione che riguarda l’ingresso del Mef in Netco: “Non se ne comprende la rilevanza industriale e strategica, mentre continua a mancare il sostegno a un comparto che vede i margini assottigliarsi e che pone a rischio lavoratori qualificati”. Dal take up degli abbonamenti ai costi di attivazione per i servizi in fibra, dal lento switch off del rame al ritardo sul 5G: “Queste le questioni da affrontare”

Pubblicato il 01 Set 2023

nicita

Manca del tutto un intervento di politica industriale rivolto ad affrontare i problemi che affliggono il settore: dal take up degli abbonamenti ai costi di attivazione per i servizi in fibra, dal lento switch off del rame, al ritardo dei servizi 5G. Il Governo si concentra su un’operazione (il dossier Netco Tim ndr) della quale non si comprende la rilevanza industriale e strategica, mentre continua a mancare il sostegno a un settore che vede i margini assottigliarsi e che pone a rischio lavoratori qualificati in questo paese. Chiederemo al Governo di riferire in Parlamento”: Antonio Nicita, vice presidente dei senatori Pd ed ex Commissario Agcom accende i riflettori sulle difficoltà in cui versa il settore delle Tlc e soprattutto sul dossier Netco e sulla decisione del Governo di entrare nella rete di Stato attraverso il Ministero dell’Economia con una quota fino al 20% che comporterà un esborso di 2,2 miliardi di risorse pubbliche.

Senatore Nicita, perché il Pd non concorda?

L’operazione che riguarda Tim si basa sulla cessione della rete fissa, dunque sulla separazione verticale tra reti e servizi.  La cessione del controllo della rete avviene in favore di ad un partner non industriale – il fondo Kkr – ed è tutto da definire il ruolo strategico del controllo pubblico, mentre il Governo impegna risorse di almeno 2 miliardi per una possibile piccola quota di minoranza nell’operazione. La rete scorporata non sarà tuttavia una società delle reti o una rete di reti, strategica. Non è infatti previsto un contemporaneo processo di riaggregazione efficiente e unitario delle reti all’ingrosso dei diversi operatori attivi sul mercato, a cominciare da Open Fiber. Dunque, si crea sul mercato una Tim-servizi più debole rispetto ai concorrenti, si scorpora una rete dai servizi senza valorizzarla con il contributo di altre reti, si genera una forte incertezza circa i valore strategico dell’eventuale investimento pubblico e l’impatto occupazionale. Negli scorsi anni, la prospettiva di una separazione di reti e servizi in Tim è sempre stata accompagnata dall’idea di costruire una società delle reti a monte, possibilmente con ampio perimetro (in modo da inserire elementi della connettività 5G), con un forte ruolo strategico pubblico sul piano della sicurezza, del controllo dei dati, della copertura di connettività nel Paese. Niente di tutto questo sembra oggi realizzarsi oggi nell’incrocio tra Tim, Kkr e Stato.

Tim però deve pur trovare una quadra.

Da quanto si legge, si tratterebbe di un piano che non è dettato da alcuna ratio industriale ma solo da una urgenza finanziaria dettata dai conti di Tim, rispetto alla quale ad oggi non si comprende né il vero ruolo, attuale e prospettico, svolto dallo Stato, né come possa acquisire valore una rete separata verticalmente dai servizi che non si unisca alle altre reti in un progetto unitario di società delle reti. Con il Dpcm varato dal Governo si prospetta peraltro un esborso assai rilevante di risorse pubbliche in un momento di delicato passaggio della finanza pubblica italiana, per conquistare un ruolo comunque non di controllo su una rete che ancora contiene molto rame che andrà sostituito con fibra. Inoltre, appare miope limitare il perimetro alla sola rete fissa, quando il Digital Compass europeo prevede una forte integrazione tra fibra ottica e 5G.

Il Governo dunque avrebbe cambiato idea rispetto al piano originario?

Questa operazione, da quanto si può comprendere, non ha valore strategico, perché da un lato resta in un ambito di privatizzazione, non passando da una ripubblicizzazione del controllo dell’asset, trasferendo il controllo a un fondo d’investimento, ma soprattutto spezzando il valore di una rete integrata di forte interesse pubblico, senza garantire al contempo la creazione di una società delle reti unitaria, aggregata e nazionale. Tutto il contrario del fatidico piano annunciato a suo tempo dal Governo che prevedeva invece una centralità del controllo pubblico, dei dati e della sicurezza in un contesto sì di separazione verticale ma compensata da un’aggregazione orizzontale delle reti degli operatori, a partire da quelle di Tim e Open Fiber.

Ma è sicuro che la rete nazionale con Open Fiber non si farà?

È vero che al momento non si esclude una futura riaggregazione delle reti Tim e Open Fiber ma ciò sembra poter avvenire in un orizzonte temporale tutt’altro che definito, con una nuova e successiva operazione. Il che significa che, in un eventuale percorso di aggregazione delle reti, ci saranno ben due interventi di controllo Antitrust, uno per il passaggio a Kkkr della rete Tim verticalmente separata e uno per l’eventuale unione di due reti concorrenti, e per converso, un rischio di eccesso di condizioni imposte o di impegni richiesti.

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