L'EDITORIALE

Tlc, l’Italia al bivio: le gravi conseguenze della guerra dei prezzi

Agli esuberi annunciati da Vodafone Italia ne potrebbero seguire presto altri. Uno scenario più che prevedibile. L’arrivo di Iliad è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E anche nel fisso il “caso” Sirti rappresenta l’ennesimo segnale di sofferenza

Pubblicato il 11 Mar 2019

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Si voleva garantire la concorrenza e invece si è (ri)messo in grave difficoltà un mercato, quello delle Tlc, che aveva già pagato caro il prezzo della crisi economica iniziata nel 2008 e della guerra dei prezzi. Noi di Corcom ci avevamo visto più che lungo: la decisione della Commissione europea di vincolare la fusione Wind Tre alla discesa in campo di un quarto operatore mobile – nel caso specifico Iliad – era sembrata fin da subito una mossa “incauta” e non priva di effetti rischiosi sul fronte della competizione e soprattutto della tenuta mercato.

Ebbene è bastato poco meno di un anno – il debutto di Iliad risale alla scorsa primavera – ad assestare al mercato italiano delle Tlc uno dei più duri colpi della sua storia. E’ stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo di difficoltà. Difficoltà, che ovviamente vengono da lontano e sono strutturali, ma il 2018 è stato un anno “spartiacque”. I conti sono tutti al ribasso e la curva si è ancor più velocemente orientata verso il basso dopo il debutto del quarto operatore mobile: fatturati e profitti sono tutti in calo, i margini sempre più risicati, e la perdita e la “frammentazione” della clientela va avanti.

L’annuncio di 1.130 esuberi da parte di Vodafone Italia si può come sempre leggere in due modi: da un lato mostra tutta la debolezza di un settore che soffre, dall’altro le riorganizzazioni sono inevitabili per rimettersi in sesto. Ancor di più considerato che siamo alla vigilia del cantiere 5G. La riorganizzazione dell’azienda guidata da Aldo Bisio è inevitabile e determinante per garantire un futuro sostenibile – questa la logica alla base del piano industriale. E operazioni, come quella del network sharing – a partire da quello appena annunciato da Tim e Vodafone – saranno determinanti.

Paradosso dei paradossi, nemmeno Iliad se la sta vedendo poi così bene: l’entusiasmo del “boom” dei primi mesi si sarebbe (già) spento. La casa madre non ha ancora svelato i dati dell’ultimo trimestre 2018 ma stando a rumors di stampa la società guidata da Benedetto Levi avrebbe nettamente frenato la forte avanzata. E ha fatto notizia, a febbraio, l’ulteriore tonfo in Borsa del Gruppo francese, il cui titolo in un anno ha perso il 56%. E fare in Borsa peggio di Telecom Italia – hanno subito commentato gli analisti – è davvero difficile. E per restare a Tim, in quanto a esuberi e riorganizzazione non ha rivali: 4.300 i dipendenti in uscita a cui potrebbero aggiungersene circa 300 per effetto di Quota 100. Il piano Genish prevedeva la cassa integrazione per 29.736 lavoratori poi convertito a giugno con la solidarietà. Ora bisognerà vedere che fine faranno gli altri 21.000 di “troppo” anche e soprattutto tenendo conto delle decisioni in merito alla scorporo della rete e all’eventuali integrazione degli asset con quelli di Open Fiber.

Anche sul fronte delle Tlc fisse le cose non vanno bene. Sirti ha annunciato nei giorni scorsi 833 esuberi. E in questo caso l’operazione è figlia della mancata crescita del mercato della fibra e di commesse sempre più al ribasso.

Nonostante i “mali” strutturali le telco continuano a sfidarsi a colpi di offerte al ribasso, in particolare sul fronte mobilei prezzi finali hanno registrato in pochi mesi un taglio di oltre il 20% – che stanno “abituando” i consumatori alla logica delle decine di Giga unlimited. Ci si chiede dunque da cosa saranno generati i profitti del 5G lato consumer, visto che anche sui dati, dopo voce e sms, la competizione non si sta facendo in termini di servizi e applicazioni a valore aggiunto ma sulla mera quantità di Giga.

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