“La partita geopolitica e geoeconomica che ci troviamo a giocare in questa fase è molto delicata. Quel che l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi ha messo nero su bianco nel report sulla competitività, invocando l’urgenza di agire, è di fatto quello che ci diciamo da 15 anni. E il Consiglio Ue nei giorni scorsi ha detto a chiare lettere che bisogna spingere sulle infrastrutture digitali”. Il Presidente di Digital360 Andrea Rangone e professore di Digital Business Innovation al Politecnico di Milano, fa il punto con CorCom su dove siamo e soprattutto su cosa ci riserva il futuro.
Presidente, a che punto della storia ci troviamo?
Ciò che è accaduto nel settore delle Tlc è l’esempio emblematico della logica sbagliata che ha portato a non presidiare i settori strategici del futuro. L’Europa ha puntato sull’iper-regolamentazione e ne paghiamo inevitabilmente il prezzo. Ma è importante capire cosa è accaduto negli ultimi anni. Paradossalmente un evento negativo come il Covid ha sparigliato le carte in tavola e in pochi mesi si è passati dalla totale mancanza di una strategia politica e industriale in tema di digitale e innovazione alla definizione di obiettivi chiari e alla messa in campo di ingenti risorse con il Next Generation Eu che si è tradotto poi nei Pnrr nazionali. La quarta rivoluzione industriale, di cui non si era solo minimamente capito l’impatto fino alla soglia del 2020, è diventata improvvisamente protagonista di progetti e iniziative. Dunque, non possiamo che leggere positivamente la storia dal 2020 ad oggi. Quel che abbiamo vissuto ha avuto l’effetto di un vero e proprio elettroshock culturale che in mix con la disponibilità di ingenti risorse ha messo in moto il motore della digitalizzazione anche e soprattutto nel nostro Paese, da sempre fanalino di coda. In particolare in due ambiti: quello della pubblica amministrazione, in cui sono stati fatti passi in avanti importanti, e quello del manufatturiero grazie a iniziative come Transizione 5.0 che stanno sortendo risultati interessanti. I gap però restano e sono ancora importanti.
In Italia, e non solo, il mercato delle Tlc è in crisi ed è sul segmento B2B che sono puntati i riflettori, quali sono le opportunità?
Indubbiamente il segmento B2B, in particolare relativamente ai servizi Ict che vanno dalla cybersecurity al cloud fino all’IoT, rappresenta la componente che sta crescendo di più ed è destinata a crescere anche nei prossimi anni. In Italia la componente dei servizi Ict è ancora limitata: stiamo parlando di un’incidenza sul fatturato complessivamente di circa 10% considerando tutti gli operatori, con un po’ di differenza fra l’uno e l’altro, mentre nei Paesi più avanzati si arriva a oltre il 30% – è il caso ad esempio del Giappone – in tanti altri si registra oltre il 20%. Quindi nel nostro Paese c’è ampio spazio di crescita anche perché la competizione sui prezzi è molto meno forte. E poi le telco hanno alcuni asset interessanti da sfruttare come la forza dei brand nonché reti di vendita capillari sul territorio. Ma per accelerare bisogna spingere sulle partnership con i vendor giusti e anche sulla formazione avanzata della forza vendita.

Il 2025 sarà l’anno del debutto del 5G advanced, ossia della migrazione vera alla quinta generazione mobile: sarà la chiave di volta per lo sviluppo di use case innovativi?
Sfruttando le caratteristiche più performanti delle reti 5G advanced sicuramente si potrà contribuire anche in questo caso a sviluppare la componente B2B che riguarderà anche servizi di nuova generazione per la pubblica amministrazione oltre che per le aziende. Quindi anche in questo caso c’è un potenziale di crescita interessante.
Allargando l’orizzonte all’Europa: sarà davvero possibile recuperare competitività?
Intanto partiamo dai dati: il confronto con Stati Uniti e Cina è impietoso se si considera che nella top 50 delle tech company mondiali quelle europee si contano sulle dita di una mano. Se è vero che abbiamo fatto passi in avanti è altrettanto vero che c’è un nodo che non abbiamo sciolto e che anzi continuiamo a stringere, quello dell’iper-regolamentazione. Regolamentare è importante ma dobbiamo anche guardare dove sta andando il resto del mondo. Il neo presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha già annunciato di voler maggiore deregulation dei mercati digitali, si pensi alla questione delle criptovalute, mentre noi continuiamo a legiferare e regolare, caso ultimo in ordine cronologico quello dell’intelligenza artificiale. E ciò non farà che aumentare ulteriormente i gap. E c’è un effetto indiretto che non viene mai evidenziato: si rallenta il processo di trasformazione digitale dell’economia, non si creano le condizioni per lo sviluppo di champion imprenditoriali nei settori più innovativi, con conseguente minore crescita del Pil. Minore Pil, minore flusso fiscale e ciò impatterà nel prossimo futuro inevitabilmente su servizi essenziali, come ad esempio sanità, istruzione e pensioni. Questo è il circolo vizioso che dobbiamo evitare! Ciò che è accaduto e sta accadendo nel settore delle Tlc è l’esempio perfetto della miopia europea, e l’Italia fa scuola in negativo: le telecomunicazioni sono il settore abilitante della quarta rivoluzione industriale ma l’indice di redditività è il più basso d’Europa e a livello mondiale. Risultato: imprese labili che con riescono a investire.
Quindi cosa dobbiamo aspettarci?
Per governare le rivoluzioni ci vuole una convergenza di potere economico, finanziario e politico. Guardiamo all’intelligenza artificiale: è molto difficile che in Europa possano nascere “campioni” come OpenAI, ce lo auguriamo ma bisogna essere realisti e puntare invece su quel che davvero possiamo fare. E cioè utilizzare l’intelligenza artificiale per rivoluzionare i nostri settori tradizionali. La nostra più grande debolezza è il calo di produttività del lavoro e l’intelligenza artificiale è un driver potentissimo di produttività del lavoro oltre ad essere una tecnologia democratica accessibile a tutti. La vera rivoluzione sarà dunque vincere la sfida della produttività.