Dal primo telefono fisso alla prima sim, fino ad arrivare agli sms alla messaggistica istantanea e al 5G. I quasi 150 anni di storia delle Tlc italiane vanno di pari passo con lo sviluppo economico e sociale dell’Italia. Una storia fatta di aziende in grado di generare valore per il sistema Paese, di fornire servizi per ridurre le disuguaglianze e per innovare il modo di interagire nella società.
Un po’ di storia
Il brevetto di Alexander Graham Bell viene registrato nel 1876 ma bisognerà aspettare l’anno successivo per l’arrivo del primo collegamento telefonico in Italia: ideato dai fratelli Gerosa di Milano, il progetto metteva in collegamento vocale la sede dei pompieri e la Sao (Società Anonima degli Omnibus), ente che si occupava del sistema dei trasporti della capitale meneghina. Tra il 1880 e il 1890 nacquero le prime società che si occupavano di fornire il servizio telefonico, alcune totalmente made in Italy, altre filiali di aziende estere del settore.
Bisognerà attendere i primi anni del ‘900 per cominciare a vedere i primi veri gestori a livello nazionale, frutto di continue fusioni e accordi commerciali. A partire da questo periodo, inoltre, si cominciò a lavorare per la creazione di reti interurbane, con l’obiettivo di collegare città differenti e dare un’ulteriore spinta a questa tecnologia.
L’evoluzione del mercato
Dopo una parentesi prevalentemente pubblica, la gestione del settore telefonico passò di nuovo nelle mani di aziende private durante gli anni Venti del Novecento. Ma la Grande Crisi del 1929 riportò lo Stato, solo dopo pochi anni, al controllo quasi totale del servizio telefonico.
Nei primi anni Trenta i costi del telefono diventarono decisamente più accessibili: il telefono, quindi, si diffonde maggiormente su tutto il territorio nazionale. La prima cabina telefonica italiana venne inaugurata agli inizi del Cinquanta, a Milano.
Negli anni Sessanta nacque la moderna Sip, che concentrò su di sé le vecchie concessionarie e cominciarono i primi grandi investimenti per la modernizzazione del sistema telefonico fino al boom definitivo del settore degli anni Ottanta. Negli anni Novanta la privatizzazione del settore delle Tlc consentì l’apertura al mercato di altri operatori.
Gli sms, Internet e WhatsApp
Sono passati poco meno di 30 anni e il mercato delle Tlc si è profondamente trasformato. Prima gli sms che hanno velocizzato ancora di più le comunicazioni tra persone, poi l’avvento di Internet grazie al quale, inizialmente solo da computer fisso, si poteva “navigare” nel mondo: accedere alle notizie, scrivere e-mail. Poi il debutto “disruptive” degli smartphone che funzionano come piccoli computer tascabili ha consentito alle persone di essere sempre connessi. Una rivoluzione silenziosa che ha davvero cambiato la vita delle persone ma anche il modo di lavorare, di produrre.
Uno sguardo al futuro
In Italia sono 220 le aziende attive tra servizi di Tlc fissa e mobile e un ruolo chiave è giocato dagli 8 principali player. I ricavi aggregati delle aziende sono pari a 31,2 miliardi (secondo le rilevazioni relative al 2019), i dipendenti sono circa 63.000, l’86,3% nelle prime 5 aziende. E se si considera l’indotto si sale a 131 mila occupati coinvolti nelle filiere economiche e 24.500 indotti per effetto dello stimolo dei consumi, attivando quindi un totale di 218.600 posti di lavoro (più del numero degli occupati diretti di un settore storico della manifattura italiana come l’automotive).
Nonostante questi numeri importanti, l’Italia ha però un potenziale inespresso che nel concreto si traduce in meno ritorni in termini di Pil e anche di investimenti esteri. Stando alle stime di The European House-Ambrosetti l’allineamento della velocità media di connessione alla media dell’Ue genererebbe un differenziale positivo di crescita che porterebbe 40,9 miliardi di euro di Pil in più nel 2025 (il 2,2% superiore allo scenario in cui tale crescita non si verificasse).
La crescita del mercato dei dati ai tassi medi dell’Ue permetterebbe di raggiungere un valore della data economy superiore di 65,2 miliardi di euro (rispetto allo scenario costante), con la conseguente attivazione di ulteriori filiere, occupazione e vantaggio competitivo.
E se l’Italia si allineasse alla media Ue in termini di copertura di rete, l’aumento potenziale dell’attrattività Paese genererebbe una maggior attrazione di investimenti diretti esteri pari a 1,2 miliardi di euro addizionali.
Se nel periodo 2021-2025 la penetrazione della banda larga raggiungesse il valore medio europeo (49,2%), le imprese con accesso alla banda larga beneficerebbero di un incremento di produttività capace di generare, cumulativamente, 110 miliardi di euro nel quinquennio. Se, inoltre, la penetrazione della banda larga raggiungesse il valore medio dei Paesi benchmark (51,7%), nello stesso periodo l’impatto salirebbe a 128 miliardi di euro di valore economico addizionale.
L’impatto del 5G
Applicato alle utilities, il 5G permette di rendere compiutamente “smart” le reti (smart grids) e i contatori (smart meters), abilitando la piena digitalizzazione del settore in chiave evolutiva e trasformativa. Ambrosetti stima che al 2025 nel nostro Paese saranno installati circa 40 milioni di smart meter di nuova generazione e la piena adozione di smart meter luce e gas 5G al 2025 permetterà di generare un valore economico cumulato nel periodo 2021-2030 pari a circa 8,3 miliardi dovuti esclusivamente al 5G.
Riguardo al manufatturiero si stima che, il pieno dispiegamento del 5G genererà, nel periodo compreso tra il 2021 e il 2030, un maggior valore aggiunto per le imprese pari a 12,5 miliardi cumulati.
Per i trasporti il dispiegamento del 5G nel settore della logistica genererà 4,6 miliardi di euro di maggior valore aggiunto nel decennio 2021-2030.
Enorme l’impatto sulla sanità la piena applicazione del 5G abiliterà un risparmio pari a 10 miliardi di euro nel decennio 2021-2030.
Il ruolo dei nuovi player
Questi ultimi anni sono stati caratterizzati dall’avvento di player nuovi che hanno intercettato le nuove necessità di digitalizzazione del Paese, andando a rispondere, sì, ai bisogni di connettività ma anche di inclusione. Operatori, come Eolo ad esempio, che puntano a collegare zone finora scarsamente attrattive per il mercato ma che, più di altre, hanno bisogno di recuperare competitività per evitare lo spopolamento e diventare poli di interesse anche per le imprese. Perché, soprattutto dopo la pandemia da Covid 19, sono molti gli italiani che hanno deciso di tornare nei luoghi d’origine e lavorare da lì: quel fenomeno recente meglio conosciuto come South Working. Si tratta principalmente di zone dove la fibra arriva con difficoltà, anche per caratteristiche orografiche ma che rappresentano una grande sfida per l’inclusione digitale e sociale. Soprattutto se si considera che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza destina il 45% delle risorse per gli interventi sulla connettività a banda ultralarga alle regioni del Sud Italia e alle aree bianche.
Fwa, assist alla crescita dei territori
La rete di tipo Fwa è potenzialmente la soluzione più rapida per superare il digital divide e permette a chi vive in località montane, aree scarsamente abitate o zone rurali di difficile accesso di accedere ad una rete internet ad alta velocità.
Si tratta di un sistema di trasmissione dati che prevede l’uso di una rete mista, formata in parte da una rete cablata in fibra ottica e in parte da una rete che sfrutta le frequenze radio, che permette di raggiungere con una rete a banda larga (con velocità fino a 30 Mbps Mbps) o a banda ultralarga (con velocità fino a 100 Mbps) luoghi che sarebbe difficile raggiungere con una rete in fibra ottica.
In base alla copertura disponibile, è possibile installare il dispositivo di ricezione all’esterno della casa, da abbinare a un router domestico, oppure installare un solo dispositivo all’interno, in grado sia di captare il segnale radio sia di gestire la connessione a internet e di trasmettere il segnale in modalità Wi-Fi in tutta la casa.