Per la prima volta in Italia la Corte di Cassazione ha confermato la relazione diretta tra l’uso continuo e prolungato del cellulare e il tumore alla testa. I giudici hanno respinto il ricorso presentato dall’Inail alla sentenza della Corte d’Appello di Brescia che riconosceva l’esistenza di un nesso causale tra l’attività lavorativa di Innocente Marcolini, ex direttore finanziario di una multinazionale bresciana, e l’insorgere nell’uomo di un tumore benigno al nervo trigemino sinistro.
I giudici hanno ribadito la validità dei riferimenti scientifici portati in aula dal perito dei magistrati e dai consulenti di Marcolini: Giuseppe Grasso, neurochirurgo di Brescia, e il professor Angelo Gino Levis, oncologo e ordinario di Mutagenesi ambientale all’Università di Padova. Entrambi hanno evidenziato l’aumento del rischio di tumori ai nervi cranici, soprattutto il nervo acustico e il trigemino, per chi usa molto il telefono cellulare.
Marcolini ha spiegato che, per 12 anni, a causa della sua attività lavorativa, è stato per almeno 5 o 6 ore al giorno al cellulare e al cordless, sempre con il telefonino attaccato all’orecchio. Usava il vivavoce solo in auto. Nel 2002 gli è stato riscontrato un neurinoma del ganglio di Gasser. Si è operato, ma il tumore l’ha reso invalido all’80% e ogni giorno è costretto ad assumere forti antidolorifici. Avendo realizzato che poteva esserci un nesso tra l’attività svolta sul lavoro e la malattia, Marcolini ha avviato la battaglia legale che nel 2009 ha visto i giudici d’Appello di Brescia ingiungere all’Inail di corrispondere all’ex manager una pensione. Adesso la sentenza è stata confermata dalla Cassazione.
La sua testimonianza è anche raccolta nel libro di Riccardo Staglianò “Toglietelo dalla testa”. È lui stesso a ricordare che nelle istruzioni dei cellulari si raccomanda l’uso a due centimetri di distanza dal viso. Marcolini non ha rinunciato all’utilizzo del dispositivo mobile, ma adopera sempre l’auricolare o il vivavoce e non appoggia più il telefono all’orecchio.